Pasolini, le rivelazioni di Simona Zecchi sul delitto

(di Marzia Apice) SIMONA ZECCHI, PASOLINI: ORDINE ESEGUITO (Ponte alle Grazie, pp.336, 20 euro). "La verità ha un suono speciale", scriveva Pier Paolo Pasolini nel settembre 1975, poche settimane prima di essere ucciso, in una lettera indirizzata a Giovanni Ventura, ex estremista di destra, coinvolto nella strage di Piazza Fontana. A rileggerla oggi, quella frase - nella lettera il poeta chiedeva al suo controverso interlocutore chiarezza sulle responsabilità politiche celate dietro alle stragi di quegli anni - ha un sapore stridente, amaro. Perché, a distanza di 50 anni dal massacro che costò a Pasolini la vita la notte tra l'1 e il 2 novembre 1975 all'Idroscalo di Ostia, nonostante le indagini, le sentenze, le ricostruzioni, i depistaggi e le omissioni, nessuno è riuscito ancora a sentirlo quel "suono speciale". A tornare sul luogo del delitto, trascinando ancora una volta il lettore tra le sterpaglie di quel campetto di calcio dove si consumò l'omicidio, è Simona Zecchi, autrice per Ponte alle Grazie di "Pasolini: ordine eseguito", approfondita quanto sorprendente inchiesta sui responsabili e i moventi dell'omicidio del grande intellettuale e regista. "Questa storia si mantiene tra due estremi, il complotto fine a se stesso e la cronaca 'bella, fatta, impaginata', per citare un'espressione usata da Pasolini (nell'ultima intervista rilasciata a Furio Colombo, ndr). Ma la soluzione è solo una, andare a fondo", racconta all'ANSA Zecchi, già autrice di altri due libri-inchiesta, "Pasolini, massacro di un poeta" e "L'inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini", entrambi sempre editi da Ponte alle Grazie. L'autrice si reimmerge nel buio di quella notte, quando Pasolini, dopo un'ultima cena al ristorante Al Biondo Tevere insieme a Pino Pelosi, fu poi spinto a recarsi all'Idroscalo attraverso un espediente, ossia la possibilità, per lui importantissima, di poter recuperare le bobine sottratte del film Salò: una trappola, che gli risultò fatale. In quest'ultimo lavoro Zecchi presenta elementi nuovi, tra documenti inediti e fotografie, che riannodano i fili di una storia interrotta. Innanzitutto una nuova pista emersa grazie a un'inchiesta a Venezia relativa ai sequestri avvenuti tra il 1975 e il 1983 nel Nord da parte di bande sinti di Ostia e del Veneto e della criminalità organizzata romana, calabrese e lombarda, che porta direttamente a un personaggio più volte indagato per l'omicidio Pasolini e alle sue lettere-confessioni: Giuseppe Mastini detto Johnny Lo Zingaro. Poi due nuove testimoni, le sorelle Bruna e Rita Formichetti, che riscrivono la dinamica delle ore in cui si è svolto l'assassinio, spostandolo più avanti, attorno alle 4.30 del mattino, quando sentirono dalla loro casa all'Idroscalo il "rombare" del motore di una macchina che prendeva la rincorsa per passare sopra qualcosa (il corpo di Pasolini). Infine la corrispondenza con l'ex neofascista Ventura e le carte di un dossier scomparso in cui si denunciavano i responsabili politici dietro al disegno di "destabilizzare il Paese". A uccidere Pasolini fu un'azione combinata a livello criminale e politico-eversivo? "Lo dimostro nel libro, un lavoro unitario e più fruibile pensato soprattutto per i giovani", spiega. "Pensiamo a quello che è successo a Sigfrido Ranucci: perché si minaccia di morte un giornalista? Per le scoperte che ha già fatto o per le rivelazioni che deve ancora fare?", si chiede la cronista, "Su Pasolini purtroppo manca la volontà politica di riaprire le indagini, considerando anche che il poeta non è mai stato digerito neppure dalla sinistra. Ma non si può rimanere legati a una tesi precostituita. Pelosi è stato un capro espiatorio, ma non era del tutto innocente. Era un mediatore, ha ammesso e poi ha ritrattato. Quelli erano gli anni della strategia della tensione, in cui la parte politica si è salvata, sempre. In questa storia i servizi segreti ci sono, ma non fu un militare isolato a decidere di ucciderlo, c'era la politica. Per esempio c'era la destra eversiva che, insieme a partecipazioni straniere, voleva eliminare Bernardo Leighton, un ex Dc cileno che per riunire l'opposizione delle sinistre in ambito internazionale guardava con interesse al compromesso storico di Moro: in quel contesto lì, Pasolini si rivolgeva ai politici democristiani, dicendo che erano 'i nostri nixon italiani' e andavano processati. Noi invece ancora ci nascondiamo dietro la tesi che il movente sia legato all'omosessualità". "Pasolini nell'ultimo periodo faceva il giornalista d'inchiesta", aggiunge Zecchi, "nel primo dei suoi articoli parlava dell'infiltrato di Piazza Fontana Mario Merlino, neofascista che partecipò agli scontri a Valle Giulia, citandolo come esempio lampante di omologazione politica tra destra e sinistra, poi ha continuato a indagare e denunciare collusioni, infine è arrivato lo scambio di lettere con Ventura, il quale asseriva ci fossero cordate politiche dietro le stragi. Era l'ottobre del 1975, poi Pasolini fu ammazzato. Come si fa a non prendere in considerazione questi elementi? Quelli sono stati anni complessi, in cui quasi nessuno rimase innocente".
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