Reinventare la ruota: quando la stampa si ferma, i maiali si divertono

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C'è chi giura di aver visto un maiale in bicicletta. Io non ho mai avuto questa improbabile fortuna. Non ne ho mai visto uno pedalare, né apprezzare la stampa libera. I maiali preferiscono il fango. Amano i terreni instabili, dove tutto viene seppellito e nascosto, senza che nessuno intuisca la vera portata dell'inganno. Anche quando sembra un trucco di bassa lega, l'inganno si fa sempre più profondo, in una pedalata che nessuno sembra in grado di fermare.
La bicicletta, compagna dei nostri primi passi e delle nostre cadute, ha preso polvere nel momento esatto in cui nostro padre ci ha dato il via libera per prendere la patente per la moto, rimanendo per decenni dimenticata nei garage e nei depositi portoghesi. Era di proprietà di un ragazzo con un ginocchio sbucciato o di un vicino con la faccia consumata e i vestiti logori, senza soldi per un lasciapassare. Era un simbolo dal doppio significato: da un lato, celebrava la libertà dei bambini, e dall'altro, la prigionia di alcuni anziani, abbandonati alla loro sventura economica. Ma il mondo, come le ruote a raggi, gira molte volte.
Tra arterie intasate – non dai depositi di grasso, ma dalle auto –, l’ostinato blocco dello scarico che dà vita al trambusto urbano, palestre che grondano lacrime di sudore come qualcuno che piange su un corpo da catalogo in spiaggia, e la crisi climatica che brucia calorie di preoccupazioni, la vecchia bicicletta è ricomparsa, ora snella e con un modernismo elettrizzante.
Proprio come la bicicletta, anche la stampa è stata spinta ai margini della strada. Superata dall'infortainment, strombazzata e insultata con i clickbait, a guardare scorrere canali di disinformazione sempre più ampi, dove le bugie entrano in gare come quelle di Vasco da Gama, con l'impunità legale dei social network. Per molti, il giornalismo è diventato un fastidio rispettabile, per altri un'irritazione insopportabile, e per sempre meno una necessità indispensabile. È una rima che innervosisce e scoraggia. È come pedalare a occhi chiusi pensando di non imbattersi in inganni, truffe e deepfake. Purtroppo, in questo nuovo paradigma di (dis)informazione, le stronzate hanno le gambe di Joaquim Agostinho e pedalano molto più veloci della verità.
Ora pensate ai vostri genitori e nonni, che ancora vi chiamano per chiedervi dell'ingresso HDMI del televisore del soggiorno e che li hanno aiutati a creare i loro primi account sui social media. Immaginate il loro disorientamento quando vengono bombardati da una serie infinita di nuovi video, immagini e voci iperrealistici innescati dall'intelligenza artificiale, capaci di ingannare anche l'occhio più esperto del professionista, il cinico più diffidente o il troll che ha già testato il trucco. Se qualche mese fa erano abbagliati dalle immagini del ragazzo africano che realizzava sculture impossibili con le lattine di Coca-Cola, oggi sono esposti a una semplice finta condivisione WhatsApp che modifica il loro voto. "Vedere per credere" è già un'assurdità che sfugge all'irrealtà che tutti noi sperimentiamo, ogni giorno, sui nostri cellulari. Se ieri mostravano l'acne sul viso di Sérgio, domani mostrano un immigrato che palpeggia una ragazza in metropolitana. Se ieri c'era Marcelo che cantava "A Cabritinha", domani ci sarà un deputato che progetta un colpo di stato.
Il palcoscenico è una corsa contro il tempo. La realtà sta diventando così piena di falle nell'universalità dei social network che potrebbe essere troppo tardi perché la stampa vera si aggrappi al manubrio e non ci lasci cadere nella trappola. Così come la bicicletta ha riacquistato importanza, questa volta nella sua versione elettrica, anche la stampa dovrà continuare ad abbandonare la carta, adattarsi al nuovo contesto tecnologico e acquisire nuovo slancio. E dimenticate i siti a pagamento e i volantini abbreviati su Facebook, Instagram o X, che hanno già dimostrato di non saperli usare o migliorare.
Ciò che propongo è semplice, ma urgente. Invece di metterci nei guai con gli strumenti che vengono utilizzati per manipolarci, dovremmo usarli a nostro vantaggio. Immaginate questo: un nuovo social network europeo, creato da un consorzio di aziende di stampa e tecnologia del vecchio continente. Una sorta di Spotify per l'informazione, ma dove gli "artisti" sono ben pagati, perché se si vuole mantenere la precarietà, è meglio lasciare tutto com'è. In questa rete ben organizzata, nulla entra dalla porta sul retro. Alimentata esclusivamente dalle notizie, non c'è spazio per i creatori, solo per i professionisti dell'informazione. Giornalisti accreditati e testate giornalistiche debitamente riconosciute sarebbero le uniche a pubblicare in questo sistema. Gli altri utenti possono condividere, commentare e persino "seguire e mettere mi piace". Sono ammessi solo contenuti verificati, con metadati crittografici che ci dicono quando e dove sono stati pubblicati, chi li ha scritti o modificati. Niente screenshot sospetti, niente video che sembrano affidabili senza una provenienza comprovata. Proprio come nella scienza, questo scambio sociale digitale sarebbe sottoposto a revisione paritaria permanente. I fact-checker di altre pubblicazioni lavorerebbero come colleghi scienziati: monitorerebbero, contesterebbero, confronterebbero o correggerebbero qualsiasi notizia che diventi una pubblicazione. L'accesso sarebbe universale e il principio democratico non negoziabile, con giornalisti dal Portogallo alla Palestina, da Israele all'Iran, dagli Stati Uniti alla Russia. I criteri sarebbero le credenziali professionali e mai la nazionalità, il colore della pelle o l'orientamento politico. Questa oasi informativa potrebbe anche essere supervisionata da una nuova entità creata dalle Nazioni Unite o, in una prima fase, più vicina a casa, dall'Unione Europea.
Il bello di una rubrica di opinione scritta da qualcuno che non è un giornalista è la libertà di imbattersi in idee che, pur non essendo specializzate, possono
Forse ispirare altri più radicati tra coloro che vivono di questo. Sto solo piantando semi. Forse uno di questi suggerimenti un giorno germoglierà e darà frutto.
Il giornalismo non si alimenta solo di buona volontà e talento, così come una laurea in comunicazione sociale non è stata progettata esclusivamente per il successo finanziario degli addetti stampa. Questa nuova piattaforma digitale non dovrebbe essere solo un enorme museo dell'informazione, ma potrebbe diventare un punto di svolta fondamentale per il salvataggio e la capitalizzazione di un settore in difficoltà. In questo tour in bicicletta digitale, ogni visita consentirebbe agli utenti di dare un'occhiata al panorama che ogni pubblicazione offre sul proprio profilo, con la possibilità di streaming live, alcuni dei quali attivi 24 ore su 24. Per gli utenti che desideravano un servizio più personalizzato, era sufficiente adattare il cambiamento, abbonandosi a modelli di informazione personalizzati, in cui ogni argomento – dalla politica alla cultura, dallo sport alla scienza – sarebbe stato curato da giornalisti specializzati. Questo servizio potrebbe persino accettare il riferimento incrociato di diverse pubblicazioni, con giornalisti indipendenti che avrebbero scelto e svolto questo compito. Gli utenti più generosi potrebbero inserire una moneta nella cassetta virtuale delle mance, sotto forma di "mi piace" pagati a giornalisti e redazioni, valorizzando e incoraggiando il loro lavoro. Per chi ha fretta, niente caschi, ma riassunti e momenti salienti del giorno o della settimana, adattati agli interessi di ciascun utente, come una sorta di playlist di notizie per il viaggio. E perché non adattare il successo del crowdfunding al giornalismo investigativo, integrandolo nello stesso social network, con reportage richiesti e finanziati dagli stessi lettori, mantenendo al contempo la totale trasparenza e indipendenza? Ogni giornalista o profilo di testata avrebbe inoltre carta bianca per gestire i ricavi derivanti dagli annunci pubblicitari che compaiono in banner e simili sulla propria pagina. In sostanza, si tratterebbe di un nuovo paradigma per contrastare la precarietà del settore, con nuove fonti di reddito, ancorate a un formato di cui le nuove generazioni non possono più fare a meno, senza passare attraverso l'imbuto dell'attuale algoritmo americano. La crescita di popolarità di questo network innovativo potrebbe contribuire a esorcizzare lo spettro di una carriera fatta solo di sacrifici e false promesse di visibilità, che insiste a spaventare il valore professionale con stipendi miseri da mille euro, come quelli praticati in Portogallo.
Vorrei sottolineare ancora una volta che questa non è solo una piattaforma per la consultazione di notizie. Questa proposta prevede la creazione di un vero e proprio social network, progettato utilizzando i formati già funzionanti sulle reti esistenti, ma esclusivamente per la pubblicazione di giornalismo professionale. Qui ci sarebbe una reale interazione tra giornalisti e utenti, con condivisione commentata, playlist personalizzate e liste di interesse, remunerazione diretta e revisione continua di tutti i contenuti. Questa è una risposta democratica che si oppone al caos delle reti attuali e alla crescente precarietà del settore dell'informazione. I consumatori di notizie non sono più semplici spettatori e diventano parte attiva della soluzione a un problema che già ci riguarda tutti.
Se la bicicletta è tornata per aiutarci a salvare la salute del pianeta, la stampa deve cercare di trovare un nuovo modo per farci pedalare in avanti. Come dice il vecchio proverbio: chi impara non dimentica mai. E abbiamo urgente bisogno di ricordare che la verità è l'equilibrio prioritario di ogni democrazia, e che quando si ferma, nessuno può rimanere fermo a lungo. La disinformazione continuerà certamente a circolare, perché la via dell'inganno tende a prevalere, ma avrà un radar vigile in questa rete, pronto a scattare foto che riflettano la realtà verificata dei fatti. In questa pista ciclabile tendenzialmente blindata, solo il giornalismo potrà passare, sempre con cartelli a bordo strada per avvertire del pericolo di qualche porco che si ricorda di attraversare la strada, con o senza bicicletta.
Nota: Un ringraziamento speciale va al talentuoso artista cileno Ivan Veliz Villalobos che ha avuto la gentilezza di creare e inviarmi la fantastica illustrazione che accompagna questo articolo.
I testi presenti in questa sezione riflettono le opinioni personali degli autori. Non rappresentano VISÃO né ne riflettono la posizione editoriale.
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