Per una nuova autonomia. Il Nord secondo Attilio Fontana


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L'intervento
Il presidente della Lombardia ci scrive: “Un’alleanza fra le regioni per il futuro del paese”. La questione settentrionale vista dalla Lombardia
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La Lombardia è il territorio dove più acutamente si manifesta la questione settentrionale e la contraddizione tra domanda sociale e strumenti politico amministrativi. Le migliori riflessioni e letture di questi anni ci hanno detto come i flussi finanziari, economici, culturali, definiscono i diversi territori e come i confini amministrativi oggi consolidati rischiano di non essere adeguati per dare risposte politiche e istituzionali. Le nostre azioni oggi sono per forza di cose “glocal” o almeno dovrebbero esserlo: agire localmente ma con uno sguardo e un disegno che va ben oltre, osservando e agendo sugli scenari continentali, quando non internazionali. Basta pensare ad esempio alle politiche ambientali.
Ogni giorno il nostro sistema economico, sociale, universitario, sanitario, culturale si deve confrontare, e deve competere, con le regioni più avanzate del mondo e d’Europa. E’ qui che si manifesta la più evidente contraddizione che vediamo ogni giorno. Per essere competitivo ed attrattivo nel nostro mondo di oggi, il sistema socio-economico deve rispondere a domande sempre più complesse. Mentre le altre regioni forti del mondo e dell’Europa hanno strumenti politici, finanziari e amministrativi adeguati, noi lombardi, come le altre regioni del nord, dobbiamo giocare la partita con strumenti logori e inadeguati. A volte mi sembra di dover correre non solo con le due braccia legate dietro la schiena, ma anche su una sola gamba. Da qui dobbiamo partire se vogliamo individuare strumenti che permettano ai nostri territori di esprimere al meglio le proprie potenzialità ed essere attrattivi. E una prima considerazione non può che guardare alla complicata, farraginosa, per ora insoddisfacente, vicenda dell’applicazione dell’autonomia differenziata e della attuazione del federalismo fiscale. L’impegno programmatico del 2022 a rendere concrete queste riforme non può venire meno, da parte del governo e delle strutture ministeriali.
La discrasia oggi tra livello delle domande e strumenti politici, finanziari e amministrativi a disposizione si fa sempre più forte e mina alla base la fiducia nello stesso sistema democratico. Soprattutto tra le giovani generazioni immerse in un eterno presente, e che rischiano di dimenticare le radici del nostro sistema democratico. Vogliamo continuare a essere attrattivi per le giovani generazioni, essere il cuore di una manifattura straordinaria o rassegnarci a un declino dorato? Per usare una espressione del Censis di qualche anno fa, dobbiamo correre anche solo per mantenere le generazioni che prima di noi hanno conquistato certezze sociali ed economiche.
L’inverno demografico e l’aumento della popolazione anziana, che nei prossimi anni sarà sola e senza figli che se ne facciano carico, ci pone di fronte a scelte radicali culturali e di modelli di vita prima ancora che economiche e politiche. Anche nelle nostre regioni ci sono ampie zone che vivono uno spopolamento continuo e un rischio di desertificazione sociale. Sono le cosiddette aree interne che riguardano non più solo zone montane ma anche significativi territori di pianura.
I dazi esterni e quelli interni all’Unione europea indicati da Draghi costringono tutti noi a investire in innovazione, ricerca, formazione per continuare a essere manifattura trainante. Perché non ci possiamo rassegnare a un declino dorato. Quindi, ricostruire un capitale sociale che ha fatto grandi i nostri territori è l’altra faccia della medaglia dei nostri giorni. Capitale sociale significa coesione sociale, capacità di rappresentanza, confronti democratici strutturati e non lasciati ai post di comitati caratterizzati dalla sindrome Nimby.
Per raggiungere questi obiettivi dobbiamo essere onesti e riconoscere che lo stato da solo non può farlo e che le risorse pubbliche non bastano. Dobbiamo rimettere al centro il principio e il valore della sussidiarietà sia orizzontale che verticale. E’ un principio inserito nella nostra Costituzione e nei trattati europei ma che rischia di essere tacciato di ogni male a seguito del clamore mediatico di alcune inchieste che scambiano whatsapp canzonatori con prove di accusa. Senza una forte collaborazione tra pubblico e privato non solo non si farà alcun passo in avanti ma si rischia di precipitare in uno stato etico che tutto comanda.
Libertà di iniziativa, di immaginazione, vivacità creativa, il gusto del rischio, della competizione, del successo personale, della ricerca scientifica e culturale, della solidarietà sono i tratti distintivi della nostra gente che non aspetta che qualcuno le risolva i problemi, ma si dà da fare subito in prima persona. Non può esistere una società in cui il pubblico tutto dispone e finanzia, in cui ogni iniziativa privata altrui – ovviamente perché la propria è per definizione corretta – è sinonimo di malaffare, di cupola, di chissà quali loschi traffici.
Per tornare all’inizio, se vogliamo governare i flussi e agire globalmente dobbiamo avere una forte sussidiarietà verticale. Dal 2008 in poi abbiamo assistito a una decisa ripresa centralista in cui lo stato si occupa anche delle minuzie. In questo modo i conflitti istituzionali di attribuzione di competenze sono aumentati e spesso non si capisce più chi decide cosa. In questo scenario la magistratura, contabile e ordinaria, occupa spazi che spesso travalicano in campi non propri, confondendo reati con giudizi politici. Uscire da questo pantano non è facile. Serve una nuova alleanza tra Regioni consapevoli del loro ruolo e dei loro limiti, capaci di superare le divisioni partitiche e guardare oltre, all’Europa di domani per i nostri nipoti. Guardare avanti: nel febbraio 2026 il Nord sarà protagonista delle Olimpiadi invernali. Ricordo che non ci sarebbero state se Lombardia e Veneto non si fossero fatte carico di una candidatura autonoma e delle garanzie finanziarie necessarie, mentre lo stato allora stava a guardare diffidente. Un evento che in Lombardia lascerà in eredità infrastrutture materiali, sanitarie e sociali a tutto favore dei territori che le aspettavano da anni.

Ripartiamo dai valori autonomistici, quindi. Ne sono stati paladini le grandi correnti culturali della nostra storia: da quella della tradizione cattolica e della sinistra riformista di governo, a quella resa esplicita nel dibattito istituzionale e politico da Gianfranco Miglio. Facciamo l’esempio dei fondi di coesione, parte fondamentale delle politiche regionali. Davvero si vuole andare verso un unico programma nazionale con le Regioni solo soggetti attuatori di scelte decise altrove? Davvero si pensa che le politiche di sostegno alla transizione digitale del nostro sistema manifatturiero possano essere uguali a Sondrio e ad Agrigento?
Guardiamo alle politiche ambientali che in questi anni sono state impostate sulla base di una ideologia che rischia di azzerare il sistema produttivo europeo, non solo delle regioni del bacino padano. Per rispettare i limiti imposti dalla Ue dovremmo, in tutta la Pianura padana, non riscaldare più, eliminare gli allevamenti zootecnici e fermare il sistema produttivo, e nonostante questo non raggiungeremmo gli obiettivi europei! In un incontro in Commissione europea un’alta funzionaria della dg Ambiente ci chiese perché non avessimo fatto un piano per l’eolico in Pianura padana. Rispondemmo che ovviamente se avessimo il vento non avremmo problemi di sforamento dei limiti. Oggi ci viene richiesto di programmare una produzione di fotovoltaico che per dimensione annullerebbe la nostra filiera agro-zootecnica.
E’ la ragione per cui in questi anni abbiamo sviluppato alleanze con le regioni europee: dalla ricerca, alla chimica, all’agricoltura, all’automotive, alle politiche ambientali e all’utilizzo dei fondi di coesione e a molto altro. In particolare sull’automotive abbiamo promosso una seria iniziativa non per difendere l’esistente ma per permettere a un settore che rimarrà strategico di poter competere a livello mondiale partendo da una transizione basata sulla neutralità tecnologica e sull’utilizzo dei biocarburanti.
In tutti questi campi vi è stata collaborazione con le regioni europee più importanti, al di là dell’orientamento politico di ciascuno, per individuare soluzioni possibili e praticabili per continuare a fare dell’Europa un motore di crescita economica e sociale. Lavorare insieme per difendere e fare crescere le prospettive di sviluppo dei territori è irrinunciabile ed è nel Dna delle regioni. Serve invece più pragmatismo e insieme riconoscere gli innegabili passi in avanti fatti in questi decenni sulla qualità ambientale, sull’utilizzo di tecnologia e ricerca.
Guardiamo alla sanità. Oggi paghiamo gli antichi errori di programmazione del fabbisogno di medici e infermieri. L’ambito di collaborazione col privato è ineludibile così come è irrinunciabile che il pubblico debba indicare priorità e obiettivi anche al privato. Noi siamo orgogliosi di avere un modello per cui ciascun cittadino, ricco o povero, può decidere dove farsi curare. Sappiamo che dobbiamo migliorare sulla medicina territoriale e abbiamo l’ansia di ridurre i tempi delle liste di attesa. Servono investimenti e la libertà per le regioni di poter disporre come meglio credono del fondo sanitario assegnato. Non chiediamo più risorse. Chiediamo di essere lasciati liberi nel decidere sul come spendere per rispondere alle domande di cura dei nostri cittadini.
Infine, so di toccare un nervo scoperto, la questione salariale. Si pone in tutto il paese ma in particolare in Lombardia e generalmente nel Nord. Ha davvero senso che un funzionario della Pa rinunci a un lavoro o lo accetti per spostarsi magari dopo un anno in altre zone del paese? Così non funziona e dobbiamo con realismo accettare che il costo della vita è diverso nelle città lombarde da quello in altre città in altre zone del paese. Altro che secessione dei ricchi. Ha ragione Stagnaro quando sottolinea come il residuo fiscale aumentato in questi anni renda ancora attuale la questione settentrionale.
Non mi scandalizza investire molto per i collegamenti infrastrutturali al sud, anche se non capisco perché non siano stati realizzati nei decenni scorsi, usando le risorse generose messe a disposizione. Mi scandalizza che non si riescano a trovare risorse per la Tirreno-Brennero che, incrociandosi con la progettata Cremona-Mantova, toglierebbe dall’isolamento territori importanti connettendoli alla rete europea.
Una nuova stagione autonomistica delle regioni significa sapere che non basta lo sviluppo potente delle città capoluogo. Non di sola Milano vive la Lombardia ma dell’insieme dei suoi territori e della loro connessione.
Per questo, il ruolo delle regioni è decisivo per attuare politiche integrate, equilibrate e capaci di rendere ogni territorio coeso e attrattivo innanzitutto per i propri talenti più giovani. Una nuova stagione dell’autonomismo è ineludibile: è urgente una discussione seria, istituzionale, non di parte, in cui ciascuno sa di dover rinunciare a qualcosa per ottenere tutti un sistema politico istituzionale efficace ed efficiente, capace di affrontare le sfide terribili del nostro tempo.
Un tavolo c’è già: è quello della Conferenza delle regioni, intorno al quale negli ultimi anni a più riprese e anche di fronte a grandi emergenze, abbiamo dimostrato di saper discutere di ogni argomento, seriamente e con spirito di servizio verso le nostre comunità, senza steccati ideologici e di partito. Il governo deve essere consapevole di questa opportunità positiva. Può fare affidamento sulle regioni. Deve fare affidamento sulle regioni.
Attilio Fontana presidente della Regione Lombardia
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