La guerra dei chip

I chip sono attualmente al centro della battaglia geopolitica tra Washington e Pechino. L'ultimo capitolo di questa saga – da cui dipende molto più di quanto immaginiamo – ha dimostrato fino a che punto il governo degli Stati Uniti sia disposto a spingersi. Ma da dove nasce questa disputa?
I semiconduttori, o chip, sono diventati uno dei beni più preziosi dell'umanità: sono ovunque. Sono essenziali per le attività quotidiane, come quelle che facciamo con i nostri telefoni, ma sono anche fondamentali per la sicurezza e la difesa. Basta pensare alle guerre in Medio Oriente e in Ucraina, dove l'accesso ai chip è il principale ostacolo alla produzione di droni più numerosi e migliori. Non è un caso che la più grande azienda al mondo sia Nvidia, con una capitalizzazione di mercato di 4,4 trilioni di dollari. Ha iniziato progettando schede grafiche per videogiochi (GPU), ma nel tempo, questo progetto si è posizionato al centro della rivoluzione dell'intelligenza artificiale. Oggi, i data center negli Stati Uniti, in Asia e in Europa utilizzano migliaia di questi chip.
Questi data center, modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) e algoritmi predittivi non vengono utilizzati solo dagli studenti universitari per barare: vengono impiegati anche in ambito governativo, di sicurezza e di difesa. Le GPU sono strategiche perché la loro architettura, composta da migliaia di core, consente l'elaborazione parallela di enormi volumi di dati, essenziale per l'intelligenza artificiale, la modellazione scientifica, le simulazioni militari, l'analisi massiva dei dati e la crittografia. Il loro utilizzo è cresciuto prima nella grafica e nei videogiochi, poi nel mining di criptovalute e, soprattutto, nell'addestramento di modelli di intelligenza artificiale a partire dal 2012, quando si sono dimostrate molto più veloci ed efficienti delle CPU.
Oggi, il predominio tecnologico e l'accesso a GPU all'avanguardia, controllate da pochi produttori come Nvidia, sono fattori critici del potere economico e militare: determinano la capacità di un Paese o di un'azienda di sviluppare un'intelligenza artificiale avanzata, rafforzare le proprie difese, innovare nei settori della biotecnologia e dell'energia e competere alla frontiera tecnologica. La loro disponibilità è ormai un asset geopolitico paragonabile al petrolio nel XX secolo.
Pertanto, gli Stati Uniti, sotto l'amministrazione Biden, hanno cercato di limitare l'accesso della Cina alle GPU di nuova generazione. Dal 2022, hanno imposto restrizioni crescenti a causa del loro valore strategico nell'intelligenza artificiale, nella difesa e nel supercalcolo: nell'ottobre di quell'anno, hanno incluso chip come Nvidia A100/H100 e AMD MI250/MI300 nella Commerce Control List, richiedendo requisiti di licenza quasi impossibili; nel 2023, hanno ampliato la Entity List per bloccare aziende come Inspur, Loongson, Biren e Moore Threads; e nel 2025, l'amministrazione Trump ha vietato la vendita di modelli adattati per eludere le restrizioni, come Nvidia H20 – specificamente progettato con capacità limitate – e AMD MI308. Ha quindi proposto di consentirne l'esportazione addebitando il 25% dei ricavi per H20 e il 15% per altri chip, oltre a misure segrete come l'inserimento di tracker nei server con GPU per rilevarne l'uso improprio.
La Cina, da parte sua, sta cercando di convincere i suoi giganti tecnologici a ridurre gli acquisti di idrogeno e di promuovere lo sviluppo dell'industria locale. Tuttavia, sebbene abbia una vasta esperienza nella replicazione delle tecnologie, i progetti di Nvidia sono praticamente unici e replicarli richiederà tempo e investimenti significativi. Questo è solo un altro fronte, forse uno dei più critici, nell'inevitabile scontro economico tra Stati Uniti e Cina. Tutto indica che la guerra per i chip è appena iniziata. E come per il petrolio nel XX secolo, il controllo sui chip determinerà vincitori e vinti.
Eleconomista