Stare coi poveri: la lotta di classe secondo il Vangelo

Il discorso dl Pontefice
“Bisogna assumere lo sguardo dei poveri”, ci ha detto papa Leone. Un’esortazione che significa molto di più che fare l’elemosina ogni tanto. Che ci costringe a prendere posizione contro le diseguaglianze
Papa Leone XIV, nel suo discorso ai movimenti popolari, richiama all’attualità della Enciclica “Rerum Novarum”, pronunciata dal suo omonimo nel 1891. Ma con tutti i salti in avanti che ha fatto il mondo in questi 134 anni, come si può pensare che una Enciclica scritta nel 1891 come la “Rerum Novarum”, possa in qualche modo essere di attualità? Leone XIV lo spiega benissimo.
Per prima cosa affronta il “metodo”: le “cose nuove”, viste con l’ottica dei centri di comando e di potere, non possono essere comprese davvero. Per valutarle nel loro impatto sociale, è necessario non solo dotarsi di punti di osservazione diversi, come quello che guarda il mondo e la sua evoluzione dalle periferie, con i loro chiaroscuri esistenziali, e addirittura, dice sempre papa Leone, ribadire che questa visione, quella che hanno i poveri e non i ricchi, “è al centro del Vangelo”, ma anche scegliere un “focus” che possa informare di sé ogni punto di osservazione, qualsiasi essa sia. Si può guardare anche dall’alto, dal punto di vista dei governanti. Dal punto di vista di chi gestisce potere e prende decisioni per tutti. Ad un patto: che il “focus” sia l’umano, nella sua condizione completa e collettiva, integrale e planetaria.
È interessante questo approccio “agostiniano”, perché riflette sulla necessità di essere di parte senza che ciò significhi diventare “una parte”. La chiave per affrontare la complessità della storia umana, non è dividere il mondo in “buoni e cattivi”, ma assumere l’umano come bussola, per poter guardare da ogni punto di vista, per non sacrificare quello dei più fragili e per non aver paura di affrontare quello dei più forti e potenti. Per una Chiesa, dice Leone “che corra dei rischi”. Assumere “lo sguardo dei poveri”, non significa dunque semplicemente provare compassione per loro, ridotti a eterne vittime di ogni sviluppo. Francesco me lo ripeteva sempre: l’unica volta che è consentito guardare qualcuno dall’alto in basso, è per aiutarlo a rialzarsi. I poveri, gli sfruttati, gli esclusi, continua Leone, “vanno messi al centro dell’impegno collettivo e solidale, volto a invertire la tendenza disumanizzante delle ingiustizie sociali e a promuovere uno sviluppo umano integrale”. Ma va fatto coltivando il carattere universale del messaggio di liberazione, essendo di parte senza diventare semplicemente “una parte” già definita, già decisa, già confinata, già ridotta a oggetto della carità utile a placare le nostre coscienze. O ad alimentare le nostre ideologie. No.
Il punto di vista dei poveri è necessario per cambiare il mondo, tutto il mondo, e per tutti coloro che sono al mondo. Il “materialismo del Vangelo” proposto dal discorso di Leone, emerge in tutta la sua potenza, con la citazione dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di Francesco: “finché i problemi dei poveri non saranno risolti in maniera radicale, rifiutando l’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e affrontando le cause strutturali della diseguaglianza, non si troverà alcuna soluzione ai problemi del mondo o, per meglio dire, a nessun problema. La disuguaglianza è la radice dei mali sociali”. Ma la visione “strategica” nella quale si colloca “lo scandalo” del materialismo del Vangelo, non è relegata al “conflitto di classe”, come indica l’altro materialismo, ma si solleva, o meglio si immerge nella irriducibile tensione tra umano e disumano.
Il terreno di conflitto e allo stesso tempo, di soluzione possibile, sta su quella frontiera. Un “materialismo umanistico”, che coglie le peculiarità di queste “vecchie ingiustizie” che tornano oggi in un mondo e in un tempo nuovo. Leone, nel continuo intreccio tra analisi materiale e richiamo teologico, usa la parabola dello “spirito immondo” per farci capire che cosa rappresenti davvero il ritorno del passato delle diseguaglianze sociali dentro il presente che corre verso il post-umano. La parabola è del Vangelo di Matteo ( Mt.12:43-45) e descrive un demonio che, scacciato da un uomo, si aggira per luoghi aridi cercando riposo, e non lo trova. Allora ritorna in quella che era la sua casa, quell’uomo. Quando ci arriva trova la casa “vuota, spazzata e adorna”. Allora va e prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui, ed entrati vi prendono dimora. E l’ultima condizione dell’uomo diventa enormemente peggiore della prima. La “casa” liberata dallo spirito immondo era tutta in ordine, pulita, adornata e confortevole. Ma “vuota”.
Che significa “vuota”? Per i credenti significa “senza Dio”. Ma per tutti significa senza etica, senza alcun principio o valore che si possa prendere come guida del proprio cammino. Diremmo di una esistenza “senz’anima” con i filosofi greci, e dunque “senza respiro”. Può un essere umano vivere senza respiro? Il nostro mondo, nel tempo che è trascorso, ha adornato la casa in ogni modo. Ma l’ha anche svuotata. E adesso, la condizione che ci troviamo a vivere è molto peggio di quand’era abitata da un solo demonio. Le vecchie ingiustizie, ci dice Leone, tornano dal passato come il demonio, ma saranno molto peggiori i loro effetti oggi rispetto a cent’anni fa. Mentre leggo questa parte del discorso, passo in rassegna gli orrori ai quali dovremmo abituarci: olocausti nucleari, genocidi, antisemitismo, sofferenze di ogni tipo inflitte ad innocenti, lavoro servile, autoritarismo, suprematismo, razzismo che viene eretto ad alta politica. Il demone è tornato, torna sempre dopo essere stato cacciato via, ma se non pensiamo a riempire la casa, noi stessi, di umanità, giustizia, fraternità, allora tornerà con altri demoni. Peggio di prima.
(2- continua)
La prima parte è stata pubblicata sull’Unità del 28 ottobre 2025
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