Questo referendum non risolverà nulla: è una riforma garantista voluta dai campioni del giustizialismo

La separazione delle carriere
La riforma voluta dalla destra giustizialista (questo è il paradosso) scioglie un nodo costituzionale ma non affronta le ragioni vere dell’eccesso di potere dei Pm
La riforma della magistratura è stata approvata dal Senato, ora sarà sottoposta a referendum, e io – personalmente – ho un dubbio amletico. Votare sì al referendum – sì alla riforma – perché condivido il principio che l’ha ispirata, oppure non votare sì perché il referendum ormai si è politicizzato e se voti sì, di fatto, dai un voto di approvazione per questo governo che credo sia – dopo il governo Tambroni del 1960 – il peggiore che la Repubblica abbia mai visto?
La riforma nasce da una contraddizione politica molto forte. Quella – che attraversa tutta la storia della seconda e della terza repubblica, ma anche gli ultimi anni della prima repubblica – tra garantismo e giustizialismo. Perché dico contraddizione? Perché a varare questa riforma è stato il governo più giustizialista degli ultimi anni. È il governo che ha istituito il reato di rave, poche settimane dopo l’insediamento. È il governo che ha istituito decine di nuovi reati. È il governo che ha vietato anche la resistenza non violenta. È il governo che ha inasprito le condizioni nelle carceri. È il governo che ha aumentato le pene. È il governo che ha varato decreti spazzanaufraghi, condannando a morte centinaia di migranti. È il governo che vuole riportare in Albania delle persone che non hanno commesso reati. È il governo che inzeppa i Cpr. È il governo che spalleggia un tagliagole come Almasri. È il governo che perseguita i senzatetto. E chissà quante altre cose mi sono scordato. Dopodiché decide di sostenere questa riforma di separazione delle carriere che effettivamente è, finalmente, una riforma che dà piena attuazione all’articolo 111 della Costituzione.
Dal punto di vista tecnico a me non sembra che sia possibile muovere alcuna critica alla parte della riforma che stabilisce la separazione delle carriere, e quindi, finalmente, l’istituzione di un giudice terzo che non abbia niente a che fare con il magistrato dell’accusa. E soprattutto che non possa più avere una carriera condizionata in qualche modo dalla forza politica del Pm, che spesso la esercitano con spavalderia. Non so se la separazione risolverà il problema. Il problema c’è, ed è grosso come una casa. Inutile conteggiare i pochi trasferimenti da una carriera all’altra. Il problema è la complicità tra Pm e giudici. Che in genere (ma non sempre) non riguarda tanto i giudici che emettono la sentenza, ma riguarda in modo clamoroso la contiguità tra Accusa e Gip. I Gip che non timbrano silenziosi la richiesta di arresto, o di rinvio a giudizio, che viene loro da un Pm, si contano sulle dita di una mano. Tanto che noi giornalisti spesso ce ne scordiamo. Scriviamo che Gratteri ha arrestato tot persone, o che Davigo, o Scarpinato, o Di Matteo…
In realtà ciascuno di loro, per arrestare, ha bisogno di un Gip. Non può farlo direttamente. Meglio se oltre al Gip ha anche un giornalista. E le statistiche dicono che il Gip amico non manca quasi mai, e in genere non manca neanche il giornalista amico. La separazione delle carriere non risolve in radice questo problema. Resteranno molti Gip che per pigrizia o per amicizia continueranno a fare copia-incolla con le richieste dei Pm. Così come esistono nei tribunali dei giudici che invece di scrivere la sentenza per esteso, fanno copia incolla, senza discutere, di brani lunghissimi della requisitoria. Trasformando il giudizio nel semplice accoglimento dell’accusa, senza motivazioni. (Ne ho constato in questi giorni un caso clamoroso). La separazione delle carriere probabilmente non cancellerà questi vecchi mali, ma comunque afferma un principio e cancella il contrasto tra l’attuale ordinamento e la Costituzione.
Credo che le riforme più importanti sarebbero altre due, soprattutto. La responsabilità civile del magistrato, che inchiodi ogni magistrato alle sue responsabilità. E la riduzione ai minimi termini della carcerazione preventiva, che metta fine allo strapotere – personale, fisico, di ricatto – che i magistrati hanno nei confronti dei cittadini, e che spessissimo esercitano con spavalderia e talvolta persino con sadismo. Falsificando e deviando la ricerca della verità. Sono queste le due riforme più importanti, insieme a una profonda revisione del codice penale, che dimezzi i reati e almeno dimezzi le pene, e renda una extrema ratio il ricorso alla detenzione. Ma queste riforme non si faranno mai. La destra le vede come fumo negli occhi, la sinistra non avrà mai il coraggio. Perciò, nonostante questa buona riforma, la macchina della giustizia non cambia molto. E non cambierà molto il potere dei magistrati. Semplicemente sarà un pochino ridotta la loro licenza a spadroneggiare.
Ed è questo che non piace alle Procure. E questa paura dei Pm viene tradotta, e nobilitata, nel timore che i Pm perdano la loro indipendenza e diventino funzionari del governo. Questo però non è scritto da nessuna parte. Se così fosse l’Italia allineerebbe il suo sistema a quello francese (che comunque non è che sia del tutto fuori dai canoni della democrazia, e che recentemente ha portato all’imprigionamento dell’ex presidente Sarkozy) ma così non è: il Pm resta del tutto indipendente e non perde niente dei suoi poteri legittimi. Perde solo la sua possibilità di condizionare la magistratura giudicante e di ledere l’indipendenza del magistrato giudicante.
In ogni caso, questo referendum non risolve lo scontro tra garantisti (che sono molto pochi) e giustizialisti. Che in realtà è l’urto tra due idee diverse della democrazia. La prima idea ha il suo pilastro nel diritto, e ritiene che il diritto sia lo strumento per rendere uguali i cittadini e salvaguardarne la dignità. La seconda è basata sull’etica, e considera l’etica superiore al diritto, e il sospetto uno strumento importante per la macchina della giustizia. Il garantismo protegge i cittadini dai soprusi del potere giudiziario, ma forse non può fare altrettanto per proteggerli dai soprusi del potere economico. Il giustizialismo è esattamente l’opposto.
Oggi, anche su questo giornale, a cinquant’anni di distanza, ricordiamo la vita e il pensiero di uno dei più grandi intellettuali del Novecento (non ho scritto la parola “italiano” perché penso che Pier Paolo Pasolini appartenga al mondo). Poco prima di morire Pasolini scrisse sul Corriere della Sera un articolo bellissimo intitolato “Io so ma non ho le prove”. Era uno scritto contro la Dc e il governo, fondato sull’esposizione di una serie di certezze, infamanti per il governo, fondate solo sui sospetti. Era una specie di manifesto, altissimo, del giustizialismo. Gli rispose nientemeno che Aldo Moro (uno dei politici più profondi del Novecento) con un discorso memorabile pronunciato alla Camera nel 1977, dopo la morte di Pasolini e un anno prima di essere processato e giustiziato dalle Brigate rosse, nel quale difendeva a spada tratta il suo partito e i diritti della politica e concludeva con un anatema caduto nel vuoto: “Non ci lasceremo processare nelle piazze”.
Erano altri tempi. E oggi i pochi difensori del garantismo e i molti difensori del giustizialismo, non si avvicinano certo a quelle vette di pensiero, di passione, di retorica. Però lo scontro è sempre lì. Tra due idee di società, di popolo, di giustizia. Il referendum non risolverà questo scontro.
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