Educare è un verbo al futuro: cinque parole per abitare la scuola

«Sono un’educatrice, non faccio l’educatrice». «A volte ci si sente soffocati da un sistema che non è quello che sogni: questo è un luogo in cui ritrovare la carica». «Porto a casa le storie come valore fondante del mio lavoro». Voci sparse dalle summer school di A tutto tondo, il Festival che si è appena concluso in Piemonte, per la regia di Fondazione Crc. Una settimana in cui l’educazione ha preso vita per decine di professionisti del settore e per tutta la città, disseminata di laboratori, musica dal vivo, spettacoli e performance.

Ve li immaginate 133 insegnanti, dirigenti, educatrici ed educatori da tutta Italia e da 12 nazionalità del mondo tutti insieme, a luglio, a parlare di scuola, didattica, intelligenza artificiale, pratiche dialogiche, gioco e molto altro? C’è chi li ha osservati dal vivo, suddivisi in grandi cerchi, chiacchierare a colazione in piazza Galimberti, il cuore di Cuneo, fare trekking e yoga all’alba, camminare lungo i sentieri del parco fluviale o uscire, ancora immersi nel flusso di lavoro, dalla grande vetrata del Rondò dei Talenti. È il secondo anno in cui accade, ma è già una piccola rivoluzione.
Andiamo per ordine. Perché proprio qui? A Cuneo è stato inaugurato nel 2022 il Rondò dei Talenti, un polo educativo che si affaccia su viale Angeli, nato al termine di un lavoro di rigenerazione urbana che ha ridato vita a un edificio sorto nel 1978 e fino al 2018 sede di una banca. Dove un tempo sorgevano gli sportelli e il caveau, oggi c’è un polo educativo che è difficile imbrigliare in una definizione: uno spazio per la comunità aperto 365 giorni l’anno dalle 8 alle 20, rivolto a persone da 0 a 99 anni, che si sviluppa attorno al tema del talento per catalizzare e dare impulso alla crescita, alla conoscenza e alla nascita delle idee. Fortemente voluto dalla Fondazione Crc, ospita esperienze di innovazione didattica, una città dei talenti per percorsi di orientamento precoce, un biblioteca dell’educazione, un learning center, spazi aperti a tutti e molto altro.
Luce e circolarità sono i primi elementi che balzano agli occhi varcando la soglia. Parole e illustrazioni colorano i muri lungo la scala che conduce ai quattro piani. Rondò è un nome azzeccato: l’edificio ha una pianta circolare e soprattutto qui l’educazione è intesa come un cerchio che si apre per accogliere persone, suggestioni, bisogni, novità.

In estate il cerchio si fa ancora più grande. Come se fosse la punta di un compasso, per una settimana il Rondò allarga il suo diametro e si connette con il mondo, disegnando nuove traiettorie dell’educare con pedagogisti e docenti, formatori ed esperti. Nell’edizione 2025, i partecipanti hanno lavorato su sei aree tematiche: “Educazione museale”, “Dallo storytelling al talento”, “Gioco e outdoor education”, “Materie Steam e intelligenza artificiale”, “Inclusione e pratiche dialogiche” e, in lingua inglese, “Talent without borders” (a cui hanno preso parte professionisti da Belgio, Finlandia, Georgia, Martinica francese, Germania, Grecia, Namibia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Tunisia e Turchia).
Il Festival si inserisce in un percorso più ampio che la Fondazione Crc ha intrapreso da tempo, con uno sguardo rivolto in modo esplicito ai giovani. Il piano pluriennale 2025/2028 ha scelto cinque parole chiave per guidare la sua azione, le stesse che hanno accompagnato le quattro giornate di summer school: bellezza, creatività, cura, futuro e partecipazione. Di fronte a un pubblico attento e partecipe, nella plenaria conclusiva del percorso formativo, sabato mattina tre esperti hanno dato loro nuova forza semantica, definendo insieme un piccolo vocabolario dell’educare.

- Creatività, non supermercato
Anna Granata è docente di Pedagogia presso il Dipartimento di Scienze umane per la formazione dell’Università di Milano-Bicocca, si occupa di diversità, equità e creatività organizzativa. È spesso uscita dall’università per dare voce alla scuola. A lei è stata affidata la parola creatività: «Molto spesso leghiamo la creatività a qualcosa di naïf, di disimpegnato, distaccato dalla realtà, qualcosa che in fondo non ci serve. E invece no, la creatività va letta come un imperativo politico ed educativo. Non può esserci democrazia senza creatività e la creatività è un’esigenza di tutti, non c’è cittadino che sia troppo vecchio, o troppo povero, per non essere creativo. E l’immagine per me di tutto questo è proprio il Rondò dei talenti, un luogo in cui al pian terreno arrivano i ragazzi che sanno già che verranno bocciati e che si aprono a un tempo che per loro sarebbe vuoto, inutile, e invece approdano qui. Oppure i senza fissa dimora che si avvicinano quasi a dire: anch’io ho diritto al talento, anch’io ho diritto alla creatività».
Tutte le volte che parliamo di pace, tutte le volte che accogliamo il diverso in ogni sua forma dentro la scuola, tutte le volte che insegniamo a bambini e bambine a rispettarsi a vicenda, noi costruiamo creativamente un mondo nuovo
Anna Granata, docente di Pedagogia
Secondo Granata, «la scuola oggi si trova di fronte a un bivio molto chiaro: deve decidere se vuole essere un supermercato o un laboratorio di creatività. La scuola è un supermercato quando vende il prodotto che ti serve in questo momento, risponde al tuo bisogno, offre quello che la moda oggi richiede. Oppure la scuola può essere laboratorio: quel luogo in cui creativamente proponiamo un’alternativa al mondo, qualcosa che in questo momento fuori non c’è. Tutte le volte che noi parliamo di pace e costruiamo la pace, tutte le volte che accogliamo il diverso in ogni sua forma dentro la scuola e quasi non ci accorgiamo più della diversità perché è diventata parte della comunità, tutte le volte che insegniamo a bambini e bambine, ragazzi e ragazzi, a rispettarsi a vicenda, noi costruiamo creativamente un mondo nuovo».
Dall’Università di Bologna, Roberto Farnè, docente di Pedagogia del gioco e dello sport, studioso del rapporto fra l’educazione e i media e di outdoor education, è stato chiamato a definire la parola cura. «Nella mitologia, Cura era quella divinità che forgia l’uomo con la Terra. E quindi a lei, a cura, viene affidato il compito di prendersi cura dell’uomo finché è in vita: lo ha forgiato e dunque se ne deve occupare. Noi abbiamo il dovere di prenderci cura degli altri, guai se non lo facessimo. Nei confronti dei bambini il primo dovere che abbiamo è quello proteggerli ovviamente, però dobbiamo intenderci su che cosa significhi oggi prendersi cura dell’infanzia». Nell’arco delle ultime due generazioni, ha spiegato Farnè, «la cura è diventata controproducente, nel senso che ha prodotto iperprotezione. Un conto è proteggere l’infanzia, un conto è quando la cura diventa espropriazione. Se interpretiamo la cura come una protezione totale perché tutto è rischioso, perché tutto è pericoloso, noi in realtà facciamo un’operazione antipedagogica, cioè espropriamo i bambini di esperienza».

Che cosa si intende con antipedagogico? «Quando più di 10 anni fa abbiamo incominciato a Bologna a porre l’attenzione con il Centro di ricerca e formazione sull’outdoor education, la prima cosa che abbiamo visto è il danno provocato all’infanzia dall’eccesso di cura. I bambini fuori non ci sono più, stanno continuamente seduti: a scuola, a casa, in auto. Il loro corpo e il loro movimento vengono deprivati in maniera terribile. Abbiamo bisogno di riportare i bambini al centro delle loro esperienze, e per esperienze intendo corpo, movimento, sensibilità, socialità, relazione. Io mi prendo cura dei bambini quando li metto in condizione di esplorare, percorrere il territorio».
Monica Trigona, giornalista del Giornale dell’Arte, storica e curatrice di mostre d’arte contemporanea, ha definito bellezza «un tema che, nel corso della lunga storia dell’uomo, è stato molto dibattuto. Oggi, quando parliamo di bellezza, non parliamo più del concetto greco di armonia, simmetria, proporzione. Oggi la bellezza è intesa in una maniera molto diversa. Anzi, direi che di bellezza quasi non si parla. Quando ci riferiamo alle opere d’arte contemporanea, parliamo della produzione attuale e militante messa in atto da vari artisti, parliamo di una produzione che rispecchia la complessità della società, non di bellezza in senso stretto».

La bellezza, dunque, come «un concetto piuttosto opinabile, in un mondo in cui le categorie per valutare un’opera d’arte corrispondono alla capacità dell’opera e dell’artista di coinvolgere il suo pubblico. La grande sfida dell’opera d’arte oggi è riuscire ad aprirsi a un pubblico variegato, eterogeneo, che vada dal bambino della scuola primaria fino al nonno che trova nell’arte non soltanto uno svago ma un ambito di grande interesse e di scoperta». Perché questo avvenga, ha detto Trigona, «bisogna pensare che i musei non sono gli unici luoghi deputati all’arte: esistono moltissime iniziative che raggiungono il pubblico in modo quasi inconsapevole. Io penso che la bellezza oggi esista, ma nelle sue connotazioni più diverse, che riguardano la sua capacità di attivare la comunità e di riflettere la complessità contemporanea».
- Partecipazione, non si insegna
La partecipazione (su questa parola Granata non ha dubbi) «non si insegna, non si spiega, forse neanche si impara nel senso più classico. Noi cerchiamo l’educazione civica, l’educazione alla cittadinanza, ma in realtà sono delle scorciatoie che poi non ci portano all’obiettivo. Sul tema della partecipazione penso che dobbiamo ragionare per osmosi: i nostri studenti ci guardano, ci osservano. E allora l’insegnante oggi deve essere un cittadino a pieno titolo che vive la partecipazione, una persona che si informa, che sta sui social in maniera attiva e propositiva, che si occupa sempre, anche quando è in vacanza, di essere un esempio per le nuove generazioni».
Infine, il futuro, che nell’accezione data da Farné è l’essenza del mestiere di educatore. «Insegnante è colui che prepara il futuro, lo intravede prima degli altri, perché l’educazione ha il futuro come prospettiva. La dimensione temporale dell’educazione non è nel passato e non è nel presente: è il futuro. Chiunque faccia l’insegnante è sottoposto a una frustrazione che potremmo definire ontologica: è la frustrazione di chi non vedrà il prodotto finale del proprio impegno. Però lo intuisce. Per questo mi arrabbio con certe politiche della scuola che sono tutte schiacciate sul presente. Il nodo non è rendere la scuola attuale, riempirla di nuova tecnologia: il nodo è occuparsi dei fondamentali perché se non se ne occupa la scuola non se ne occupa nessuno».
Bastano quattro giornate per cambiare uno sguardo? Difficile dirlo. Di certo, però, sabato mattina, c’era un’attenzione palpabile, un desiderio concreto di ascolto e relazione, per portare a casa uno slancio educativo. Come ha detto Mauro Gola, presidente della Fondazione Crc, «stiamo costruendo una comunità educante innovativa e coesa». La plenaria si è conclusa con le parole che i partecipanti alle summer school hanno scelto per riassumere l’esperienza vissuta: avventura, co-responsabilità, spaziosità, carica, alterità, wow. Hanno tutte una cosa in comune: guardano al futuro.
Le fotografie sono di Fondazione Crc, il video è dell’autrice dell’articolo
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