A Bologna nasce il Laboratorio ginecologico popolare, un presidio di salute e diritti

Cura integrale: ovvero attenzione alla persona dal punto di vista fisico, psicologico e sociale. Da poco a Bologna è stato inaugurato il primo Laboratorio ginecologico popolare della città: è completamente gratuito ed è ispirato proprio a questo principio. Nella struttura operano come volontarie una decina di professioniste della salute che sono anche attiviste: ginecologhe, mediche di medicina generale, sessuologhe, infermiere e ostetriche.
Si tratta, raccontano, di un’esperienza nata dal basso, che ha dato evidenza a diverse nuove esigenze della popolazione tramite un’accurata analisi dei bisogni. La prima fase è stata realizzata dal Laboratorio di Salute Popolare avviato nel 2019 nel Municipio Sociale Làbas, una realtà che comprende vari servizi, da quello odontoiatrico a quello psicologico, tutti gratuiti e tutti pensati per coloro che per vari motivi oggi ne sono esclusi.

Qui, spiega Cecilia, 28 anni, volontaria medica neolaureata e futura specializzanda, «facendo attività di sportello abbiamo agganciato persone che avevano situazioni di particolare marginalità e criticità dal punto di vista sanitario e le abbiamo indirizzate sia all’interno dei servizi sanitari, che verso l’ottenimento di documenti e di una residenza». Qualche anno dopo, nel 2023, sono state intercettate nuove esigenze. Così, aggiunge Carla, 45 anni, farmacista volontaria del Laboratorio ginecologico popolare, «è stato aperto un nuovo sportello dedicato alla salute sessuale e riproduttiva e si è visto che tante persone venivano escluse dai servizi. Alcune perché senza documenti, come le donne migranti, ma c’erano anche tante studentesse universitarie fuori sede, che non avevano il medico di base qui a Bologna».
Le persone si rivolgevano allo sportello per capire come prenotare una visita, quali servizi offriva il territorio, quali metodi contraccettivi usare o per raccontare esperienze negative vissute nel servizio pubblico che avevano causato un’interruzione del percorso di cura, come la violenza ostetrica. È proprio in seguito al rilevamento di questi bisogni che è nata infine l’esigenza di aprire uno spazio dedicato esclusivamente alla salute ginecologica.
Così si arriva all’inaugurazione della sede del nuovo Laboratorio di salute popolare avvenuta lo scorso 13 giugno in uno spazio che si trova all’interno del Giardino delle Popolarissime, in via Casarini 40, nel quartiere Porto-Saragozza. La riqualificazione si inserisce a sua volta in quella più ampia dell’area cittadina del Quadrilatero Scalo-Malvasia promossa da Comune di Bologna, Acer, il quartiere stesso e la Fondazione IU Rusconi Ghigi.
Lo scopo di questo luogo non è tanto fare la visita, ma è offrire una visione alternativa della salute, che metta la persona al centro: chi accede al servizio non è il “consumatore” di una prestazione ma deve essere una persona informata
Le attiviste del Laboratorio ginecologico popolare
«Prima questa era una pizzeria», raccontano le attiviste che, dopo aver ottenuto l’assegnazione, tramite bando, dello spazio da parte di Acer, grazie a cene e pranzi di autofinanziamento e a una raccolta fondi online ancora aperta, hanno provveduto autonomamente alla sua ristrutturazione, all’arredo e ora anche ai costi di funzionamento.
In totale, secondo una stima delle attiviste, sarebbero stati spesi circa 20mila euro per rinnovarla. Il risultato è uno spazio semplice ma accogliente, con una sala d’aspetto, una segreteria con depliant informativi disponibili in diverse lingue, uno studio per le visite dotato di autoclave per la sterilizzazione degli strumenti e dei materiali e scrivania. Mobili e strumenti sono stati donati da professionisti/e in pensione o da associazioni. Fino a fine luglio lo spazio è stato aperto un lunedì sì e uno no nel pomeriggio a partire dalle 15.

«Per ora abbiamo fatto solo quattro aperture, in totale sono venute qui una ventina di persone», racconta Cecilia. Si è trattato soprattutto di donne maggiorenni, ma under40, spiegano ancora le volontarie. Ad agosto il servizio rimarrà chiuso ma dall’8 settembre sarà di nuovo attivo (chi vorrà prenotare un appuntamento può farlo via Whatsapp al numero 351 570.9027).
Ma quali sono le richieste di chi vi accede? «Il bisogno principale è legato alla conoscenza e all’orientamento verso i servizi esistenti sul territorio», spiega Carla. Cecilia aggiunge che «quello che noi vorremmo fare non è tanto andare a colmare i vuoti del servizio sanitario. Noi chiediamo che il servizio sanitario sia presente e arrivi a quel bisogno di salute “invisibile” che noi rendiamo evidente con la nostra apertura. A oggi abbiamo soprattutto fatto l’aggancio, siamo state ponte tra la persona e i servizi, anche solo a livello informativo. Le persone si rivolgerebbero ai servizi ma non sanno né come funzionano, né come fare per accedervi».
Secondo le volontarie questo accade per varie ragioni: «Per una questione di mediazione culturale, di background culturale, o per una disconnessione dalla città di origine, come può avvenire nel caso di una studentessa fuori sede senza medico di base».
A oggi nel laboratorio non si possono fare visite ginecologiche, manca ancora l’autorizzazione della Asl, che dovrebbe arrivare a settembre. La scelta di aprirlo lo stesso nasce proprio dalla visione politica che unisce le volontarie del progetto: «Il problema non è la prestazione», spiega Marta, 30 anni, infermiera. «Lo scopo di questo luogo non è tanto fare la visita, ma è offrire una visione alternativa della salute, che metta la persona al centro: chi accede al servizio non è il “consumatore” di una prestazione ma deve essere una persona informata».

Per fare un esempio, le volontarie raccontano dei frammenti di storie. «È capitato che qualche donna arrivasse qui in cerca di una visita, poi in realtà il problema si è risolto parlando con la psicologa, oppure, spiegando banalmente quel che c’era scritto sul referto di un esame già effettuato. Non c’era bisogno di una visita, ma c’era un bisogno di ascolto e di non stigmatizzazione».
Al centro del modello applicato negli spazi di via Casarini, ci sono le teorie di umanizzazione della cura e di cura integrale, modelli che prendono cioè in considerazione la realtà sociale, lavorativa, familiare della persona che si presenta al laboratorio e non soltanto il suo sintomo. Ed è proprio per questo motivo che il primo step, una volta entrati nel Laboratorio ginecologico popolare di Bologna, è il triage sociale: «Si viene accolti da una ginecologa, un’infermiera o un’ostetrica e una psicologa, per avere una visione multidisciplinare», racconta Marta. «Questo perché più sensibilità riescono a carpire meglio le differenti problematiche della persona». In questo modo è possibile indirizzare la persona agli altri servizi del Laboratorio di salute popolare: lo sportello per il lavoro, quello psicologico, la scuola di italiano.
È capitato che qualche donna arrivasse qui in cerca di una visita, poi in realtà il problema si è risolto parlando con la psicologa. Non c’era bisogno di una visita, ma c’era un bisogno di ascolto e di non stigmatizzazione
Le attiviste del Laboratorio ginecologico popolare
Se questo è l’approccio scientifico che il Laboratorio ginecologico popolare ha scelto di sperimentare nei nuovi spazi, quello politico critica «la crescente privatizzazione della salute, che non rende accessibili le cure a coloro che non hanno disponibilità economiche e mette le persone di fronte alla scelta di curarsi o meno», spiegano le attiviste.
Per quanto riguarda il futuro, lo sportello ha l’obiettivo di «radicarsi profondamente nella realtà del quartiere», proseguendo sulla strada che già l’ha visto fare rete con le associazioni e con le donne che ci vivono. Poi, spiega Cecilia, «visto che il Laboratorio di salute popolare ha raccolto anche l’adesione di pediatri e pediatre, sarebbe interessante in futuro fare qualcosa dedicato ai bambini, anche perché spesso l’aspetto ginecologico va di pari passo con quello pediatrico. Stando qui capiremo anche meglio qual è il bisogno in questo senso».
Il laboratorio continuerà, concludono le attiviste, a essere in rete con le associazioni cittadine, a livello nazionale con il network dei Laboratori di salute popolare e in Europa con le Social Clinic. Le volontarie attiviste una certezza già ce l’hanno: il bisogno di attenzione alla cura ginecologica porterà a far nascere esperienze simili anche nel resto d’Italia.
Le fotografie sono dell’autrice dell’articolo
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