Serie B, Perrone non si dà pace: «Vedo Bari intristita: per Caserta sarà dura»

Due giorni «baresi» ospite dell’associazione Casabari per rialzare la Mitropa Cup vinta 35 anni fa. Una celebrazione a tutti gli effetti di un momento storico del club biancorosso. E un’occasione unica per riabbracciare vecchi amici. Prima di imbarcarsi sull’aereo che lo riporterà a casa, Carlo Perrone stila un bilancio di una parentesi trascorsa nel capoluogo pugliese, riassaporando sapori e tradizioni (non solo calcistiche) di una terra che lo ha amato e apprezzato alla fine degli anni Ottanta. La chicca, una serata magica del 21 maggio 1989 quando - segnando contro il Genoa il gol del definitivo 1-0 - i biancorossi conquistarono il primo ed unico trofeo internazionale della storia societaria. Un successo memorabile per rinverdire le scorribande da ala destra funambolica abile sia nel dribbling che nei cross. Con i Galletti, Perrone disputò tre stagioni tra il 1987 e il 1990, totalizzando 71 presenze e 11 reti tra B e A. Contribuì però poco alla promozione nella massima serie del 1989 a causa di un brutto infortunio che lo tenne lontano dai campi per più di 8 mesi. Tra pochi giorni, inizierà una nuova avventura da allenatore di una squadra di Promozione nella provincia di Padova. Il ritorno in Puglia, che mancava da cinque anni per le vacanze e la visita alla famiglia paterna di origini salentine, coincide con la ripresa di un contatto con una piazza delusa.
Perrone, che emozione è stata rialzare al cielo la Mitropa Cup?
«Enorme, perché fui l’ultimo ad issarla di persona al vecchio stadio Della Vittoria. Un trofeo itinerante, finito di volta in volta nelle bacheche delle società che l’hanno vinta. L’ultima, un club bosniaco”.
Ha goduto di un gradito ritorno nella sua città di adozione».
«È sempre fantastico ricevere l’affetto da parte di una tifoseria che mi ha amato e continua ad amarmi a distanza di tempo. Ho rivisto tanti ex compagni, come Giovanni Loseto. Oltre al magazziniere Dino e a Michele, figlio del nostro storico ed indimenticabile massaggiatore Lorenzo Ferrara».
Che aria ha respirato tra i tifosi?
«Affranta e disperata per gli sviluppi che può avere la squadra. Ho visto gente incattivita, intenzionata a non frequentare più lo stadio. Sul piano personale, lo capisco però credo che la diserzione non porterebbe alcun beneficio. Non andare allo stadio è come amare una persona e non baciarla. Comprendo l’amarezza dei tifosi, una posizione complessa e delicata».
Di Caserta che dice?
«È un buon mister. Avrà tutte le sue difficoltà nel momento in cui farà i conti con questo ambiente ostile. Le difficoltà di moltiplicheranno, così come non sarà facile nemmeno per i nuovi calciatori che arriveranno. Le alternative purtroppo non ci sono. Il calcio va in mano ai fondi e alle multinazionali per i quali si diventa solo un numero. Sia i giocatori che la tifoseria. L’epoca dei Matarrese, dei Pozzo e degli Anconetani è ormai finita. La protesta netta dei tifosi biancorossi non credo porterà a nulla di buona. Pur, ripeto, capendola sino in fondo».
In base all’atmosfera che ha respirato in questi due giorni, come pensa verrà accolto Caserta dai tifosi del Bari?
«Da quello che ho capito, Caserta non verrà accolto. Per lui non prevedo comitati di accoglienza. Da quello che ho colto, l’intenzione della gente di Bari sarà quella di boicottare la squadra e non essere in alcun modo presenti in tutte le situazioni in cui sarà coinvolta la squadra».
Ritiene che Caserta sia un buon allenatore?
«A me piace. Le sue squadre giocano un bel calcio. Non è un integralista, per cui non si fissa con dei moduli come fanno altri. Mi sembra un ragazzo molto pacato nelle dichiarazioni. Una persona per bene. Credo che la scelta dei dirigenti sia giusta. Caserta meriterebbe un po’ di sostegno. Se si farà male, è giusto contestare. Mi spiace vedere il Bari in questa strana situazione».
Anche se lei appartiene ad un’altra generazione, ha avuto modo di conoscerlo?
“No. Ne ho comunque sentito parlare bene. In passato ha ottenuto dei buoni risultati. Per questo posso giudicarlo per quello che ha ottenuto sul campo. Non è uno spaccone, né uno che insegue mille alibi. Non sarà lui il problema del Bari».
Potrà costruire un buon feeling anche con i suoi collaboratori ed il suo staff?
«Quando all’esterno ci sono così tanti problemi, l’unica arma è fare gruppo e spingere tutti nella stessa direzione. A me è capitata una situazione simile in Portogallo, dove ho conquistato una promozione dalla C alla B. Non c’erano soldi, ma vincemmo il campionato grazie alla coesione con lo spogliatoio e lo staff. In quel caso, però, la piazza era dalla nostra parte».
Bisogna vedere anche come Caserta potrà reagire alle critiche e alle eventuali pressioni esterne dell’ambiente.
«Più che critiche, il mister dovrà fare i conti con l’indifferenza. Bari è una piazza particolare, nel bene e nel male. Peccato, perché parliamo di una realtà che può spingerti verso risultati molto importanti. Da parte sua, credo sia stato difficile rifiutare di allenare in una società così importante. Nessuno rinuncerebbe».
Dal punto di vista delle motivazioni, aver perso una semifinale playoff per salire in A col Catanzaro può costituire un deterrente oppure un punto di riscatto?
«Un allenatore, così come un calciatore, deve essere bravo e pronto a girare pagina e virare su nuovi obiettivi. È chiaro che l’esperienza di Catanzaro ha un valore, perché forse non disponeva delle risorse tecniche per arrivare sino alla fine al traguardo più ambito. Credo che anche Caserta ne fosse consapevole. Il fatto che abbia comunque raccolto tanti consensi essendo protagonista anche negli spareggi promozione depone tutto a suo favore. Ora bisogna ricominciare da zero e dimostrare quanto si vale. Essere arrivati quarti l’anno precedente non ti dà nessuna garanzia che ci si possa ripetere».
Anche perché molti giocatori a fine prestito andranno via da Bari.
«Il gruppo andrà ricostruito quasi di sana pianta. Da un certo punto di vista, c’è più lavoro da fare. Dall’altra, c’è il vantaggio di operare delle scelte proprie con giocatori da individuare insieme al direttore sportivo. Ora Caserta ha un foglio bianco da disegnare. Alle volte è meglio rispetto ad un contesto già abbozzato in passato e su cui immettere alcuni tasselli».
La Gazzetta del Mezzogiorno