Michele Armenise «Bari? I De Laurentiis hanno in mano una Ferrari ma è gestita come una Cinquecento»

BARI - C’è un silenzio che pesa più di mille parole. È quello che avvolge il San Nicola, sempre più vuoto, sempre più distante. La frattura tra la piazza e la proprietà De Laurentiis non è più una crepa: è una voragine. E mentre i tifosi annunciano la diserzione e la città si interroga sul futuro del Bari, c’è chi decide di parlare. Michele Armenise, ex bandiera biancorossa e oggi tecnico e formatore di giovani talenti, rompe il silenzio e lo fa con la lucidità di chi ha vissuto il calcio da dentro, ma con il cuore ancora ancorato alla sua città.
In un momento in cui la società sembra navigare a vista, tra un calciomercato ancora in sordina e un progetto sportivo che fatica a decollare, le parole di Armenise arrivano come un faro nella nebbia per analizzare un menu ricco di argomenti. Dalla gestione De Laurentiis, le prospettive fino al 2028, il nodo multiproprietà che continua a bloccare ogni ambizione, a una tifoseria che, pur ferita, non ha mai smesso di amare. L’intervento dell’ex difensore biancorosso anni Ottanta non è solo un’analisi tecnica, ma un atto d’amore. Perché chi ha indossato quella maglia sa che il Bari - oltre ad una squadra - rappresenta un’identità. E oggi più che mai, serve qualcuno che lo ricordi.
Mister Armenise, partiamo dal presente. Come giudica la situazione societaria del Bari alla luce delle ultime dichiarazioni di Luigi De Laurentiis?
«Da cinque anni, sembra non ci sia più una società. Per quanto si possa essere grati ai De Laurentiis per aver rilevato il club dopo il fallimento, poi ne hanno approfittato. Hanno avuto tra le mani una Ferrari che gestiscono come una Cinquecento. Quello che gli interessa è solo fare soldi. Dei tifosi interessa poco. Obiettivo playoff? Ridicolo. Si vende solo fumo per sperare di far sottoscrivere qualche abbonamento. Credo che i tifosi abbiano capito il gioco. È assurdo trattare Bari, dopo tanti anni di A, come la seconda squadra del Napoli. In una città grande come quella barese è improponibile».
La frattura con la tifoseria sembra ormai insanabile. Secondo lei, c’è ancora margine per ricucire questo rapporto? E da dove si dovrebbe ripartire?
«Sono contento, perché la gente ha capito che si ha a che fare con gente che agisce solo per interessi economici propri. Fare plusvalenze come già fatto con Caprile, Cheddira e adesso Dorval. Al di là dei successi di Napoli, uno scudetto vinto anche grazie alla fortuna degli eventi. Non capisco come si possa vendere una società rivendicando grossi capitali quando non si dispone nemmeno di dieci giocatori di proprietà».
Il calciomercato è iniziato, ma i movimenti del Bari appaiono timidi. Cosa si aspetta da questa sessione estiva? Quali reparti andrebbero rinforzati con urgenza?
«È impossibile immettere dei tasselli quando non si comprendere nemmeno chi resta e chi va. Spero ci siano le idee chiare rispetto ai settori in cui intervenire e migliorare. Temo si partirà a Roccaraso senza avere una base di squadra. Squadra che non si costruisce nel ritiro estivo, ma molto prima. Ora c’è la mania di fare mercato quando si è ormai in ritiro, dove il via vai di gente è all’ordine del giorno. A livello organizzativo e di assemblaggio del gruppo diventa tutto più difficile».
Il tema della multiproprietà continua a essere un nodo irrisolto. Crede che questa situazione stia frenando le ambizioni del club?
«Il problema del Bari si chiama solo De Laurentiis. Per loro, avere il Bari è un divertimento. Un optional».
Guardando al 2028, quando la multiproprietà dovrà essere risolta per legge, quali scenari immagina per il futuro del Bari?
«Mi auguro scenari positivi, nonostante nutri tanti dubbi rispetto alla situazione. Ho paura che arrivi il 2028 e non si presenti nessuno. La grande occasione persa è stata a monte, nel non aver consegnato il club fallito agli Hartono. Non capisco ancora come ci si sia fatti scappare una occasione del genere che, ad oggi, ci avrebbe fatto vivere il sogno che tutti meritiamo. Gli stimoli sono, invece, ai minimi termini».
C’è chi teme che il Bari possa essere “congelato” fino a quella data. È un rischio reale o una visione troppo pessimistica?
«C’è da aver paura. L’attuale società può essere capace di tutto. Noto anche il dietrofront di alcuni sponsor di rilievo come Casillo e MvLine. Iniziano a fare le loro valutazioni. Ci mancava l’innesto di Betsson (società di scommesse, ndc) per completare il quadro. Complimenti».
Lei ha vissuto il Bari da calciatore e conosce bene la passione della piazza. Quanto pesa, secondo lei, l’assenza di una proprietà radicata nel territorio?
«Siamo riusciti a criticare i Matarrese che, al di là dei problemi, operavano con passione e ci rimettevano soldi veri. Si agiva come in una famiglia. Noi calciatori vivevamo questo clima con dirigenti, tecnici e magazzinieri. Mi sembra che tutto questo adesso non ci sia più. Questo fa male. Mi preoccupa non vedere delle alternative. Gli imprenditori locali parlano tanto, ma concretizzano poco. Alla fine, nessuno investe realmente».
In un contesto così delicato, quale dovrebbe essere il ruolo delle vecchie glorie e delle figure storiche del club?
«Nessuno. Le vecchie glorie per la Filmauro non esistono. È un discorso chiuso da una vita. L’unico barese nello staff è Maurantonio, il preparatore dei portieri».
Se fosse oggi alla guida tecnica della squadra, quale sarebbe il suo primo intervento, dentro o fuori dal campo?
«Senza la base diventa difficile intervenire. È tutto un punto interrogativo. Caserta? Lo conosco benissimo. L’ho allenato a Palermo e all’Atalanta. Una bravissima persona. Come tecnico ha vinto dei campionati, ed è preparato. Non saprei cosa potrà fare al Bari. Mi auguro che possa essere accontentato, con dei giocatori che gli consentano di lavorare con la sua testa e non con quella degli altri. Più o meno quello che intendeva fare Longo l’anno scorso con una discreta squadra. Alla fine, ci ha messo del suo. Ha pagato per tutti, quando le responsabilità dei mancati obiettivi andavano distribuite anche al direttore sportivo. Che invece è ancora in sella».
Infine, un messaggio ai tifosi. Cosa direbbe a chi oggi si sente tradito o disilluso, ma non riesce a smettere di amare questi colori?
«Incontro tanti tifosi e i più accaniti sono in crisi rispetto alla volontà di abbandonare il San Nicola rinunciando all’appuntamento sacro della partita. Anche io ho il cuore biancorosso e sono grato al vecchio Bari. La situazione è difficilissima, la voce della gente resta inascoltata. Auspico solo che almeno possano divertirsi un po’».
La Gazzetta del Mezzogiorno