Ilaria Salis: «Con Vipera vi racconto i miei 15 mesi nel carcere ungherese. Il dissenso? Un dovere»

Seleziona la lingua

Italian

Down Icon

Seleziona Paese

Italy

Down Icon

Ilaria Salis: «Con Vipera vi racconto i miei 15 mesi nel carcere ungherese. Il dissenso? Un dovere»

Ilaria Salis: «Con Vipera vi racconto i miei 15 mesi nel carcere ungherese. Il dissenso? Un dovere»

Dopo oltre un anno trascorso in carcere in Ungheria, con accuse che lei definisce «politicamente costruite», Ilaria Salis, eurodeputata, torna a farsi sentire con un libro che è al tempo stesso testimonianza, manifesto e gesto di resistenza. Vipera (pp. 224, euro 17,10 Feltrinelli), scritto dall’esponente di Avs e da Ivan Bonnin approda in Puglia. Appuntamento oggi a Bisceglie alle 19.30, alle Vecchie Segherie Mastrototaro e ancora il 15 maggio a Bari e il 16 a Lecce e a Brindisi. «L’opera è il frutto di un lavorio mentale incessante - racconta la Salis - nato tra le mura di una cella, sotto sorveglianza, tra interrogatori e silenzi istituzionali». Non è solo il racconto di un’esperienza estrema, ma anche una riflessione lucida sull’attivismo, sul potere e sulla fragilità dei diritti in Europa che ha segnato profondamente l’autrice.

«Vipera» è un titolo potente: ci racconta cosa rappresenta per lei questa figura e perché l’ha scelta?

«Ho scelto questo titolo perché per me è una stratificazione di diversi significati: uno letterale, uno emotivo e uno più simbolico. Subito dopo l’arresto sentivo ripetere in continuazione questo termine, pensando che fosse un modo dispregiativo degli agenti, quasi un insulto nei miei confronti. Invece poi, dopo ore quando è arrivata l’interprete, ho scoperto che vipera in ungherese è un bastone telescopico, un oggetto che, mentre ero ammanettata vicino al taxi, un agente mi aveva infilato nel marsupio a tracolla. Il senso simbolico credo sia chiaro: la vipera è un serpente, incute timore ma è anche un simbolo di metamorfosi, cambia pelle e rinasce in qualche modo grazie anche alle esperienze vissute».

Nel libro si intrecciano memoria personale, riflessione politica e denuncia sociale. Con quale obiettivo?

«L’intento è quello di far vedere al lettore nel modo più dettagliato possibile quella che è stata la mia esperienza terrificante. Quindici mesi in carcere in cui appuntavo tutto su un quadernone e pensavo sistematicamente alla mancanza della libertà, alle condizioni oppressive dei detenuti e all’importanza dell’antifascismo».

L’antifascismo è una parola chiave nella sua militanza. Secondo lei è questa la prima emergenza da affrontare in Europa come in Italia?

«È una delle tante, ma non è l’unica. Con lo spostamento a destra dell'asse politico generale, in Europa come in Italia, bisogna stare molto attenti alla normalizzazione delle emergenze. La prima fra tutte, normalizzata ma non cancellata, è la migrazione. Invece di pensare al riarmo l’Europa dovrebbe mantenere al centro questo tipo di emergenze che non sono state ancora minimamente risolte, nel rispetto dei diritti umani. L’antifascismo e la migrazione sono dei campanelli d’allarme inascoltati. È come rivivere un déjà vu del passato e questo dovrebbe scuotere le coscienze».

Recentemente l’assemblea plenaria di Strasburgo ha tolto l’immunità dai procedimenti giudiziari a dei suoi colleghi. Potrebbe essere anche lei a rischio?

«Il rischio c’è ed è concreto. Ma non credo sia giusto che questo avvenga. Sarebbe come un volermi mettere a tacere. L’Ungheria ha fatto richiesta di revoca e il procedimento è in corso ma se dovesse verificarsi, sarei condannata a una sentenza già scritta che mi vede già come colpevole. E sarebbe una farsa. Vedremo».

Conosce l'obiezione che molti le fanno: lei è l'aggressore e non l'aggredito. Come risponde?

«Andare in un altro Paese, con libertà d’opinione limitata, a manifestare il proprio dissenso e a portare solidarietà, credo sia un dovere encomiabile. Il problema è che questo dissenso non viene tollerato. La mia esperienza, per fortuna, non è stata un deterrente. Anche quest’anno c’è chi è sceso in piazza in prima linea a dire la sua e questo per me è motivo di orgoglio».

La Gazzetta del Mezzogiorno

La Gazzetta del Mezzogiorno

Notizie simili

Tutte le notizie
Animated ArrowAnimated ArrowAnimated Arrow