Oltre l’engagement, il ruolo degli investitori per creare valore sostenibile


L’attività di stewardship degli investitori permette agli emittenti una corretta valutazione dei principali rischi e delle principali opportunità di crescita materialmente rilevanti nella costruzione di portafogli di investimento efficienti. E proprio il ruolo strategico della stewardship nella valutazione dei rischi e delle opportunità delle imprese è il tema dello workshop che si è svolto ieri a Palazzo Mezzanotte in occasione della Sustainability Week di Euronext, sul dialogo tra emittenti e investitori, sia in caso di strategie attive sia in caso di strategie passive. Attraverso la stewardship gli investitori vanno al di là di una gestione attiva degli investimenti ma avviano un processo di influenza attraverso il quale gli investitori istituzionali possono orientare le decisioni di un’azienda in materia di governance, strategie di transizione e modelli di business. Molti gli spunti di riflessione evidenziati dai relatori a partire dal disallineamento temporale tra il tempo della sostenibilità (necessariamente medio/lungo per potere vedere dei risultati dalle azioni intraprese) e il tempo finanziario (breve, con scadenze trimestrali nelle quali risultati negativi o inferiori alle attese possono avere pesanti ripercussioni sul prezzo dei titoli delle società quotate, il cosiddetto short-termism).
Tra gli intervenuti Federica Rampinini di PRI Principles for Responsible Investment, organizzazione che promuove gli investimenti responsabili a livello globale, creata con il supporto delle Nazioni Unite, e fornisce risorse e indicazioni per le complesse sfide della sostenibilità ai firmatari. Nel grafico alcune raccomandazioni del PRI sulle policy e i processi di engagement.
Ne hanno discusso Simone Benini, AcomeA SGR, Sofia Galarducci, Eurizon, Dario Mangilli, IMPact SGR con la moderazione di Margherita Sacerdoti, Ferretti Group e Domenico Ghilotti, Equita. Quello della stewardship è l’approccio con cui un investitore istituzionale (asset manager, fondo pensione, assicurazione) gestisce gli asset affidati dai clienti sia in termini di rendimento finanziario che di fattori ambientali, sociali e di governance (ESG). Molte le declinazioni possibili di questo approccio, a partire dal monitoraggio continuo delle società in portafoglio, all’esercizio del diritto di voto, all’engagement. Con quest’ultimo termine si fa riferimento in particolare al dialogo diretto e attivo con le società in cui si investe, per migliorarne pratiche di sostenibilità, governance o gestione dei rischi. Incontri con il management o la proprietà, lettere e proposte di cambiamento, pressione congiunta con altri investitori, votazioni in assemblea coerenti con le politiche perseguite sono alcuni strumenti a disposizione degli investitori. Grande attenzione, poi, è stata data alla ricerca della mitigazione del rischio con un’attività di valutazione e monitoraggio dei rischi legati in particolare alla supply chain: quando non c’è una solida governance aumenta il rischio che possano verificarsi eventi che diminuiscano il valore del portafoglio di investimenti. Ma non tratta di un processo unidirezionale, talvolta sono le società stesse oggetto di investimento, tipicamente le neoquotate e quelle di minori dimensioni, a chiedere consiglio agli investitori sulle buone pratiche in materia di sostenibilità.
Ne hanno parlato Alberto Chiandetti, Fidelity, Arianna Lovera, Forum per la Finanza Sostenibile, Gianluca Pediconi, MOMentum Alternative Investments con la moderazione di Laura Panseri, Brembo e Alberto Villa, Intermonte. È emerso che la contrapposizione tra investimento finanziario e investimento sostenibile ha sempre meno senso e bisognerebbe considerare pleonastico il termine sostenibile da affiancare all’investimento. Oltre l’engagement, è stato detto, chi fa gestione attiva deve impegnarsi anche in ambito di education e di advocacy, vale a dire in attività di formazione e sensibilizzazione degli stakeholders per aumentare la diffusione di pratiche sostenibili e comprendere meglio i rischi di lungo periodo (climatici, reputazionali e sociali). Questo vuol dire svolgere attività di influenza pubblica e istituzionale per spingere il mercato, e non solo la singola azienda partecipata, verso standard più elevati di sostenibilità e trasparenza. Promuovere codici di condotta e collaborare con associazioni di categoria sono alcuni esempi di leve operative a disposizione degli investitori.
Un altro tema è stato quello delle esternalità, cioè degli effetti collaterali dell’attività economica di un’azienda che non hanno un’immediata visibilità sul suo bilancio ma che si ripercuotono su stakeholder o ambiente (dall’inquinamento all’innovazione tecnologica utile a più settori). Se per le esternalità negative esistono dei meccanismi di tassazione (vedi ETS) meno facile per ora è intervenire per le esternalità positive. Ancora una volta, è la tesi degli addetti al settore, devono essere i governi e le leggi a rendere possibili adeguati meccanismi di compensazione delle esternalità, sia positive che negative.
Un caso emblematico, infine, è quello dei rischi fisici derivanti dal cambiamento climatico. Sono ancora molto sottostimati anche perché difficili da misurare. La fragilità del settore assicurativo però comincia ad emergere con il ritiro delle coperture assicurative nei territori più difficili.
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