Salvini contro Macron, Tajani rimette il Capitano al suo posto: “Degli Esteri mi occupo io”

Il caso Italia-Francia
La posizione oggi marginale di Salvini diventerebbe molto più temibile e lo scontro con Fi diventerebbe tanto serio quanto inevitabile

Non è affatto stupefacente che un incidente internazionale come quello tra Macron e il governo italiano, in realtà una tempesta nel classico bicchiere d’acqua ingigantita dal presidente francese presumibilmente con obiettivi interni al suo Paese, degeneri immediatamente in tensione interna alla maggioranza. Dal Meeting di Cl a Rimini, domenica, Tajani ha tentato di disinnescare il caso senza rinunciare però a rimettere Salvini al proprio posto: “Non c’è nessuna crisi diplomatica. Se si vogliono ottenere risultati si ottengono con la forza delle idee non con la violenza delle parole”.
La premier derubrica la faccenda a fattarello con un ostentato silenzio. Donzelli parla al suo posto e smorza: “Noi e la Lega non siamo lo stesso partito, abbiamo sensibilità diverse, ma siamo compatibili e la coalizione è compatta”. La Lega non demorde: “La reazione di Parigi è eccessiva. Prima la convocazione dell’ambasciatore italiano, ora di quello americano. Si rasserenino”. Intemperanze verbali a parte, non è che Salvini abbia tutti i torti: la pressione di Macron per una spedizione militare in Ucraina che sarebbe ad altissimo rischio è in effetti un po’ assurda e spiegabile solo con esigenze di restauro della propria immagine in patria. In Italia però di motivi reali di divisione non ce ne sono: nessuno nella maggioranza, neppure Fi, ha la minima tentazione di partecipare a una missione di pace che peraltro appare come una lontanissima chimera. L’Italia, come ha segnalato Tajani, potrebbe tutt’al più inviare “sminatori”, insomma esercitare una funzione di rincalzo. Ma anche quella è un’ipotesi sideralmente lontana essendo necessaria prima dello sminamento una pace che, nonostante i vertici fragorosi delle settimane scorse, non appare affatto vicina.
Il problema è che sullo sfondo campeggia una divaricazione che potrebbe rivelarsi presto molto più puntuale: quella sull’Europa. Il partito azzurro è oggi il più europeista che ci sia, non solo nel centrodestra ma per certi versi nell’intero panorama politico italiano. FdI, cioè Giorgia Meloni, ha fatto da tempo la sua scelta europeista e se ha vacillato per un attimo dopo la vittoria di Trump si è rimessa subito in carreggiata. La Lega no. Diventa anzi sempre più antieuropea. “Finché l’Europa era solo una comunità economica, la Cee, funzionava. Serve un’Europa che metta insieme le economie ma lasci ai Paesi la loro identità”, ha attaccato ieri Salvini cercando di tirare dalla sua parte addirittura Mario Draghi: “A Rimini ha detto che la Ue è irrilevante: meglio tardi che mai”.
In realtà Draghi ha sbandierato una posizione diametralmente opposta a quella della Lega. Ha detto che l’illusione che la potenza economica fosse sufficiente “è evaporata nell’ultimo anno” e che pertanto è necessario spostare la partita apertamente sul piano della politica. Il problema è che su quel piano l’Europa arranca da sempre e i segnali di inversione di tendenza invocati dall’ex premier non ci sono. Se la conseguenza fosse, come lo stesso Draghi teme, un’implosione dell’Europa, la posizione oggi marginale di Salvini diventerebbe molto più temibile e lo scontro con Fi diventerebbe tanto serio quanto inevitabile.
l'Unità