Referendum, niente quorum ma la sinistra c’è: in 14 milioni contro la destra al governo

Il soprasso c'è ma la destra esulta
Landini ammette la sconfitta ma sottolinea: “Il Paese chiede cambiamento”. I centristi dem contro Schlein ma Bettini la difende: “I progressisti saliti al 30%”

Landini non ci gira intorno: “Il nostro obiettivo era il quorum. Non lo abbiamo raggiunto. Non è una giornata di vittoria”. Il segretario della Cgil però è consapevole che alla sconfitta oggettiva, peraltro certa, non si somma in egual misura quella politica: “Non rinunciamo per questo a cambiare le leggi sbagliate. Ripartiamo da 14 milioni di voti”. Quei 14 milioni di voti portano invece altri dirigenti del centrosinistra a cantare vittoria. Il capo dei senatori Boccia per esempio è tassativo: “Ha perso la destra. Alle elezioni politiche aveva preso 12 milioni 305mila voti. Ora 15 milioni di elettori hanno votato e bisogna dargli il valore che hanno”. Ancor più esplicito Bettini: “Parlare di sconfitta o disastro della sinistra e della Cgil è propaganda e neppure tanto intelligente. Il corpo elettorale del fronte progressista nel 2022 era del 26%. Oggi è al 30%. Si consolida una base importante, combattiva e convinta”.
In parte il fuoco di sbarramento dall’interno del Pd serve a sbarrare la strada alla minoranza che vorrebbe fare dell’esito del voto referendario il casus belli per mettere sotto scacco la segretaria e la sua “sterzata a sinistra”. Pina Picierno, che di quel fronte è ormai l’esponente principale, è drastica: “Sconfitta profonda, seria ed evitabile. Regalo enorme a Meloni e alle destre. Fuori dalla nostra bolla c’è un Paese che vuole futuro e non rese dei conti sul passato”. Il coro della destra, perfettamente intonato, interpreta il voto come colpo da KO per la sinistra. Il primo a parlare, insolitamente moderato, è il presidente del Senato La Russa, che al contrario di quanto promesso almeno per un referendum, quello sulla sicurezza sul lavoro, è andato a votare. “Qualcuno ha fatto del referendum un congresso interno al Pd e qualcuno ha tentato di farne una consultazione contro il governo. Hanno perso gli uni e gli altri”. Più truculenta FdI: “Sfratto annullato, sinistra sconfitta, governo rafforzato. Oggi tramonta il campo largo”.
Al di là della propaganda la strategia della premier, che ha assecondato la tentazione dei partiti del centrosinistra di spostare l’asse dal merito dei quesiti al pronunciamento contro il governo, è stata astuta. Probabilmente ha spinto alcune decine di migliaia di persone in più a scegliere il voto ma ha evitato di dover affrontare per giorni il tema più fallimentare del suo governo: le condizioni dei lavoratori, i salari da fame, la sicurezza inesistente, i diritti negati. Landini avrebbe preferito portare avanti la battaglia soprattutto su quel terreno e non è affatto contento della torsione policista scelta dai partiti e che probabilmente si è rivelata davvero più controproducente che utile. Ma nel complesso i referendum, sommati alla manifestazione di sabato a Roma per Gaza, fotografano davvero una realtà che per la sinistra non è affatto sconfortante. Accreditarsi la vittoria fingendo che il voto di ieri possa essere misurato con i criteri delle elezioni politiche è una forzatura. In compenso l’esistenza di una forza popolare ed elettorale in grado di sfidare e sconfiggere la destra è un dato di fatto ormai comprovato, testato, confermato.
Sin qui le leadership dei partiti di centrosinistra non sono state particolarmente brillanti nell’offrire a quella forza la guida e l’indirizzo politico necessari. Hanno fatto spesso prevalere le ragioni della propaganda da talk show su quelle della politica. Ma l’indicazione della base elettorale stessa è chiara e altrettanto evidente è il fatto che una partita che sembrava ancora mesi fa impossibile è invece ora apertissima. Rimettere in discussione la peraltro tutt’altro che radicale sterzata impressa da Elly al Pd sarebbe davvero in questo momento suicida. Per la destra, soprattutto quella della Lega e di FdI, diventa inoltre molto difficile se non impossibile il gioco delle parti sul quale sono cresciute tutte le destre in Occidente: presentarsi come alleati delle aziende e della finanza ma anche come rappresentanti delle fasce più povere, lavoratori in testa.
Quel gioco delle parti, estremamente lucroso, è stato consentito dalle ambiguità del centrosinistra, non solo in Italia ma in tutta Europa. Il referendum è un passo deciso per il superamento di quella ambiguità e anche questo, se gestito politicamente e non solo spettacolarmente, avrà il suo peso. Il vero dato inquietante, nei referendum di ieri, è la quantità di no nel referendum sulla cittadinanza: intorno al 40% a fronte del poco più del 10% nei quattro sul lavoro. In fin dei conti la carta più forte che la destra ha potuto e potrà giocare in Italia come in Europa è sempre la stessa: l’immigrazione e la paura irrazionale che semina anche in una parte non piccolissima dell’elettorato di sinistra.
l'Unità