Perché una sinistra che va contro sé stessa non può andare lontano


(foto Ansa)
L'editoriale del direttore
Oltre i numeri del referendum. La battaglia autolesionista contro il Jobs Act non è l’unica. Giustizia, immigrazione, sicurezza, energia: tutte le volte che la sinistra modello Conte-Schlein è andata contro la propria storia e contro la logica
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Si vota anche oggi, lo sapete, si vota per molti referendum, si vota per cambiare un passaggio del Jobs Act, si vota per rendere più rapida la concessione della cittadinanza per gli stranieri extracomunitari, quesito che forse avrebbe meritato più spazio rispetto a quello farlocco sul lavoro, e alla fine di questa giornata, qualunque siano i numeri del referendum, la certezza matematica è che l’armata Brancaleone del centrosinistra italiano che si è ritrovata oggi abbracciata, seppure con qualche pizzicotto dietro la schiena, troverà un modo per dire, senza mezze misure: abbiamo vinto noi. Lo diranno se il quorum verrà superato, ovviamente, ma lo diranno anche se il quorum non verrà superato, cadendo nello stesso errore, e nella stessa tentazione, che ebbe Matteo Renzi nel 2016 dopo il referendum costituzionale: contate quante persone hanno votato come volevamo noi e avrete un’idea di quella che è la base elettorale di partenza con cui il centrosinistra sfiderà il centrodestra alle prossime elezioni.
Si può discutere quanto si vuole sulla bontà di questo ragionamento, che non tarderà ad arrivare, ma quello che forse vale la pena mettere a fuoco, ragionando sull’iter referendario, riguarda un tema che coincide con una domanda: che futuro può avere un centrosinistra che riesce a trovare una sua identità solo giocando con le negazioni? La forza della coalizione del centrosinistra, oggi, per così dire, è quella di essere un’alternativa a Meloni & co. Ma quello che il centrosinistra ha messo in campo negli ultimi mesi è uno schema di gioco non episodico che ci permette di inquadrare bene una dimensione pericolosa all’interno della quale ha scelto di collocarsi il così detto campo largo. Contro Meloni, contro Salvini, contro Tajani, contro i centristi, ma anche contro la propria storia. La battaglia contro il Jobs Act, una battaglia simbolica, certo, ma profondamente autolesionista, una battaglia scellerata contro una riforma di sinistra che ha contribuito a riformare l’Italia proiettandola nella modernità, è la punta di un iceberg più grande che mostra una realtà che va oltre i numeri di un referendum o i risultati di un’elezione. Il centrosinistra modello Conte-Schlein riesce a sentirsi a suo agio solo quando rinnega la sua storia, solo quando mostra il suo profilo gruppettaro, e quello che il centrosinistra in queste settimane ha fatto sul terreno del lavoro – chissà con quale faccia il Pd andrà tra le aziende nei prossimi mesi a mostrare vicinanza agli imprenditori dopo aver fatto campagna contro una riforma che ha cambiato in meglio la vita agli imprenditori italiani, e anche ai lavoratori – lo ha fatto su una moltitudine di argomenti. Lo ha fatto sull’immigrazione, per dire, e il tentativo di andare contro la propria storia non si è manifestato soltanto provando a cannoneggiare l’esperienza di successo del governo Gentiloni-Minniti ma si è manifestato nel tentativo di smarcarsi dagli sforzi fatti dai socialisti europei di trovare una risposta costruttiva sul tema dei temi: basta dire niente xenofobia per combattere l’immigrazione irregolare? Lo stesso schema di gioco, il rinnegare la propria storia, il calpestarla, l’armata Brancaleone del Pd l’ha messo in campo in altri ambiti. Sull’energia, per esempio, e le posizioni sui termovalorizzatori della sinistra modello Schlein e modello Conte ci ricordano che il Pd del passato ha fatto uno sforzo riformatore sul tema (vedi il termovalorizzatore di Roma, su cui tecnicamente è caduto il governo Draghi) mentre il Pd del presente il termovalorizzatore è tornato a considerarlo come un tabù in tutti i contesti in cui ha vinto le elezioni negli ultimi mesi (dall’Umbria di Stefania Proietti alla Genova di Silvia Salis). Andare contro la propria storia per sentirsi coerenti e non sentirsi a disagio. Lo stesso si potrebbe dire quando si parla di giustizia, e l’incapacità mostrata dal centrosinistra in questi anni di governo Meloni di riuscire a non perdere il treno del garantismo è il sintomo non di un inciampo ma di una strategia precisa: considerare il riequilibrio tra i poteri dello stato come un tema di destra, da demonizzare.
E lo stesso, infine, si potrebbe dire quando si parla di sicurezza, nelle città e non solo, e anche qui l’incapacità mostrata dal centrosinistra di trovare una chiave per non far sentire soli i sindaci del campo largo che in giro per l’Italia amministrano sempre più comuni è segno non di una forma di autolesionismo ma di un’idea precisa: considerare la lotta dura contro la criminalità come un’idea troppo divisiva per diventare patrimonio della sinistra modello gruppettari. Referendum o non referendum, il dramma politico della sinistra che si prepara a dichiararsi vincitrice del referendum di oggi è quello di aver compiuto tre operazioni politicamente sucide: aver regalato alla destra anche battaglie che non sono di destra, aver trasformato il socialismo europeista in un modello da combattere a non da assecondare, aver scelto di inseguire la linea del Movimento 5 stelle in un momento storico particolare, diciamo così, in cui essendo basso il consenso che ha il partito di Conte non ci può essere altra logica nell’inseguire le sue istanze se non quella di credere a quelle battaglie al punto di voler fare del vecchio riformismo progressista una costola sinistra del neo grillismo. Numericamente, la sinistra può essere competitiva con la destra. Ma una sinistra che ha scelto di puntare sull’agenda dei diritti rottamando l’agenda dei doveri è una sinistra che non va solo contro la sua storia: va contro la logica. L’odio contro il Jobs Act è lì a ricordarci una verità difficile da contestare: una sinistra che per essere coerente ha bisogno di andare contro la realtà è una sinistra che ha tutte le carte in regole per offrire al paese un’alternativa in grado di fare tutto ma non di governare il paese.
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