Papa Leone manda in tilt la destra, Prevost sarà una spina nel fianco per Trump ma anche per Meloni

L'elezione del nuovo Pontefice
“C’è l’ha con Donald”. La brutta reazione di Bannon e camerati vicini al tycoon la dice lunga: Prevost sarà una spina nel fianco. Pure per Meloni

Nel diluvio di banalità e frasi fatte che ha salutato dagli spalti della politica l’ascesa al pontificato di Robert Francis Prevost il solo commento politicamente rilevante è arrivato da una donna che per mestiere non fa politica: Marina Berlusconi. “Dai papi ci si possono aspettare tanti miracoli. Speriamo che possa aiutare anche da questo punto di vista”. L’aiutino auspicato era mettere la museruola a Donald Trump, che la figlia di Silvio Berlusconi aveva appena bersagliato senza perifrasi diplomatiche: “Gli sono bastati 100 giorni per far vacillare le certezze sulle quali erano stati costruiti l’ordine politico ed economico e infliggere un colpo durissimo alla credibilità dell’America. Bisogna sperare che sia costretto a fare marcia indietro”.
Si direbbe che speranze e auspici identici dominassero il Conclave che ha eletto un papa che sembra fatto apposta per mettere un dito nell’occhio al tycoon della Casa Bianca. Sul nuovo papa il presidente americano aveva investito parecchio: pare circa 14 milioni con l’obiettivo di portare sul seggio di Pietro un papa reazionario, meglio se americano come il cardinal Sarah. L’interesse in materia, per The Donald, non era solo né soprattutto generico. Ha conquistato la Casa Bianca in buona parte grazie all’appoggio degli Evangelici. Poter contare su un capo della Chiesa cattolica affine, o almeno non ostile, sarebbe stato di immensa utilità da ogni punto di vista. Leone XIV si configura, almeno a prima vista, come il meno gradito tra i candidati possibili: la pensa all’opposto del dominus di Washington quasi su tutto e in particolare su politiche ambientali e immigrazione. È americano, il che amplificherà di molto la sua voce negli Usa, ma è anche cittadino peruviano, come ha tenuto a sottolineare parlando per la prima volta in veste di pontefice in spagnolo invece che in inglese. Ma proprio il Sud America è il continente dal quale proviene il grosso dell’immigrazione negli Usa: più che ponti su quel confine Trump vuole muraglie.
Il presidente ha fatto buon viso a cattivo gioco, probabilmente anche sperando di costruire un rapporto positivo con Prevost, che comunque non è un conservatore ma neppure un liberal conclamato: “Il primo pontefice americano è un grande onore. Spero di incontrarlo presto”. Ma i duri di Maga sono molto meno cauti. Per Bannon è “un pontefice antiTrump”. Per l’influencer Laura Loomer “un’altra marionetta marxista”. Leone, poi, sembra destinato ad avere rapporti difficili anche con Putin e anche da questo punto di vista la sua elezione è per Trump un problema. Per quanto paradossale sembri, in Italia il peso politico del pontefice, un tempo notevole, è oggi ridotto ai minimi termini. I rapporti con Oltretevere sono ancora una carta importante nella manica dei politici che possono vantarli ma il Vaticano condiziona in realtà poco, se non su pochi temi specifici.
Si spiegano così le dichiarazioni fotocopia che hanno accolto la sua ascesa, più o meno identiche sia che provenissero dalla maggioranza che dall’opposizione. Ma l’ipotesi, in realtà tutta da verificare però quanto meno non improbabile, di un pontificato in contrasto pieno con gli indirizzi di Trump potrebbe rivelarsi per la destra un guaio molto più grosso di quanto non fosse l’ideologia sbilanciata a sinistra di Francesco. Non a caso quella distanza ideologica non impediva che intrattenesse rapporti stretti con Giorgia Meloni e che la premier considerasse davvero “il papa degli ultimi” una sorta di padre spirituale. Ma con un papa antiTrump il discorso sarebbe molto diverso e molto più spinoso. Non a caso Daniela Santanché ha subito indossato la toga dell’avvocato difensore: “Non è giusto intervenire a gamba tesa su un presidente nostro alleato”. E da FI è arrivata puntuale la replica di Licia Ronzulli: “Marina è uno stimolo di grande riflessione e va ascoltata”.
Possono sembrare baruffe e lo sarebbero davvero se la carta Trump non si stesse configurando come l’unica mossa forse sbagliata fatta dalla premier da quando è premier. L’equidistanza tra Casa Bianca e Ue la sta penalizzando, perché da Trump non ha ottenuto niente di concreto e lo slittamento l’ha allontanata dalla cabina di regia europea, rioccupata saldamente da Macron e Merz. L’impopolarità del bullo di Washington in Italia potrebbe riverberarsi su quella della sua alleata di palazzo Chigi. Insomma, in una situazione che da questo punto di vista è per Giorgia già difficile ci manca solo che si metta in mezzo il vicario di Cristo.
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