Manifestazione per Gaza e referendum, i due test per la sinistra: asticella fissata in 12 milioni alle urne

La battaglia per il quorum
L’auspicio è che la mobilitazione su Gaza tiri la volata al voto referendario di domenica e lunedì. Sull’affluenza alle urne si misurerà la forza del centrosinistra ma anche la tenuta della popolarità del governo

La manifestazione di domani a Roma per Gaza il centrosinistra la avrebbe organizzata comunque. La data però non è stata scelta per caso: l’auspicio è che la mobilitazione su un tema molto sentito dalla propria base elettorale, anzi il più emotivamente coinvolgente che ci sia in questo momento, tiri poi la volata ai referendum dell’8 e 9 giugno. La prova è quella ed è sulla base di quel risultato che si misurerà la forza del Campo di Elly, Conte e Fratoianni ma anche la tenuta del governo e della sua popolarità ora che la lunga luna di miele è finita.
Ma in una partita che non si gioca sull’esito dei referendum, dal momento che tutti danno per quasi certo il mancato raggiungimento del quorum, quando si potrà parlare di vittoria morale e politica del fronte referendario e quando il verdetto sarà opposto? Da giorni gli alti ufficiali dei tre partiti del centrosinistra, ma anche dei centristi, ripetono che se si recheranno a votare oltre 12 mln di persone, quante cioè votarono per la coalizione di Giorgia nel 2022, la vittoria sarà netta. Vorrà dire, dissertano, che la chiamata alle urne del centrosinistra è stata raccolta da un numero di italiani maggiore di quelli che hanno insediato al governo Meloni e i suoi ministri.
La cifra-asticella in questione, in realtà, equivale a un mettere le mani avanti. I referendum hanno una loro specificità. Soprattutto i primi 4, quelli sul lavoro, toccano direttamente gli interessi materiali di circa 9 mln di lavoratori dipendenti. Arruolarli tutti nel centrosinistra, anche quelli che andranno a votare per risuscitare i diritti affossati dal jobs act, è una palese forzatura. È noto e confermato puntualmente in ogni prova elettorale che una quantità di lavoratori anche fortemente sindacalizzati alle elezioni optano poi per la destra. Insomma 12 mln di voti, pari a circa il 25% della platea complessiva, non basterebbe a cantare vittoria. Però l’asticella reale non è neppure lontanissima da quella fissata un po’ furbescamente dai partiti referendari.
Tenendo conto dell’elevatissima quota di astensionismo cronico, del silenzio mediatico che sin quasi alla fine ha avvolto nella nebbia i 5 referendum e della esposizione aperta a favore dell’astensione del governo, della premier e persino dei vertici istituzionali superare di qualche punto un’affluenza del 30% sarebbe un successo pieno. I cui frutti politici non mancherebbero. Il centrosinistra, già molto caricato dalla vittoria nelle comunali di Genova, ne uscirebbe galvanizzato. Il legame sempre molto delicato con il M5S verrebbe rinsaldato in modo probabilmente decisivo. La strategia di Elly Schlein, quella di un Pd fortemente sbilanciato sulla sinistra rispetto al passato, si dimostrerebbe vincente. L’obiettivo è a portata di mano e anzi i ragionieri del voto dei partiti del Campo, nonostante siano scaramanticamente trincerati dietro la linea del Piave dei 12 mln di elettori, sperano di andare ben oltre. Per farcela è però fondamentale che gli elettori li considerino un’alternativa reale, solida e progettuale alla destra. In caso contrario la tentazione di disertare le urne, essendo esangue la speranza di superare il quorum del 50% più uno dei votanti, potrebbe avere la meglio.
Complice il calendario, che ha imposto alla destra di votare il dl Sicurezza, cioè il peggiore tra i provvedimenti di questo governo, la settimana immediatamente precedente il voto è stata marcata da una battaglia davvero comune di tutta l’opposizione e ha visto i tre partiti del centrosinistra attestati su posizioni identiche. La manifestazione di domani dovrebbe confermare e potenziare quell’immagine unitaria e potenzialmente vincente. Qualche rischio c’è. La posizione dei tre partiti che hanno convocato la manifestazione di Roma non è identica. La un po’ assurda diatriba sull’uso o meno del termine “genocidio”, che in realtà i leader di M5S e Avs adoperano puntualmente da mesi, lo dimostra. Non è difficile prevedere che Conte, impostosi con Fratoianni come il più deciso sostenitore dei palestinesi, proverà a forzare un po’ la mano per lucrare consensi. Ma lui stesso probabilmente si rende conto di quanto sia importante per l’intero fronte un successo politico nelle urne nel weekend successivo. Premerà sul pedale unitario più che su quello della competizione interna. Poi fuori i secondi e la parola agli elettori. Quelli che decideranno di votare.
l'Unità