La strage di Lampedusa è stata un’altra Cutro: Meloni ordina catture, non salvataggi (e ferma le Ong)

L'ennesima strage di migranti
La Gdf aveva forse un elicottero mercoledì alle 11 sul luogo del naufragio perché si apprestava a preparare un’operazione di polizia “di contrasto all’immigrazione clandestina”? Perché, se è così, la magistratura dovrà stabilire le responsabilità dell’omissione di soccorso

Non sono morti per disgrazia. E’ stata una strage per omissione di soccorso, non una tragica fatalità. I due barconi con 97 persone a bordo ribaltatisi a 14 miglia da Lampedusa l’altro ieri mattina dovevano essere soccorsi. Ma l’ordine di andare a salvarli il Comando delle capitanerie di porto, l’Mrcc di Roma, l’ha dato soltanto quando un elicottero della Guardia di finanza ha avvisato di vedere dal cielo uno scafo rovesciato e tante persone in acqua.
Non dice il vero la dichiarazione-fotocopia in cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sostengono che il naufragio è avvenuto “nonostante un dispositivo di soccorso pronto e operativo”. Il dispositivo, messo in moto dai militari della Guardia costiera di Lampedusa, che sono rapidi e molto esperti ma non disobbediscono agli ordini impartiti, è stato dispiegato DOPO che le persone erano già in acqua. Un dispositivo di soccorso deve essere in mare da PRIMA che le persone affoghino. Non può aspettare che un elicottero della Finanza avvisi di uno scafo rovesciato e corpi tra le onde. Meloni e Piantedosi ieri, con più di 20 cadaveri gonfi d’acqua affiancati l’uno all’altro sull’isola di Lampedusa (ingoiate dal mare altre 15 persone, forse 20, tra cui molti bambini) avevano bisogno di nascondere quel che di solito rivendicano: lo smantellamento accurato dell’organizzazione dei salvataggi al quale si sono applicati con metodo insieme a Matteo Salvini in aperta violazione dell’obbligo di salvataggio e di sbarco in un porto sicuro previsto dal diritto internazionale e da un minimo senso di appartenenza al genere umano.
Quei due barconi di legno che venivano su dritti dalla costa di Tripoli verso Lampedusa, prima di rovesciarsi a due sole miglia dalle acque territoriali italiane, hanno attraversato tutta la grande area di mare di acque internazionali della zona Sar italiana, la zona Search and rescue dove è obbligo di Roma coordinare le operazioni di ricerca e salvataggio. Ma per decisioni prese a tavoli interministeriali, in totale violazione della legge, tre anni fa, è stato imposto che l’azione nei confronti “dell’evento migratorio” – chiamano così i barchini stracolmi di persone senza cibo né acqua – deve essere lasciata all’operazione di contrasto dell’immigrazione clandestina. A quei tavoli è stato illegalmente deciso che la Guardia costiera deve limitarsi a pattugliare le acque territoriali (entro le 12 miglia dalla costa) lasciando precedenza alla Guardia di finanza nelle cosiddette acque contigue (altre 12 miglia oltre il limite delle acque territoriali).
E’ stato illegalmente deciso che fin quando l’emergenza naufragio non sia dichiarata – fino a quando cioè è ormai quasi sempre troppo tardi – la Guardia costiera deve lasciare la precedenza all’operazione di polizia e non far partire immediatamente l’operazione di soccorso. Si è deciso di catturare, prima di soccorrere. E di lasciar intervenire, fin dove arrivano, le milizie libiche e tunisine. Togliendogli anche di mezzo le navi e gli aerei delle ong. Si è deciso quindi di deportare, lasciar torturare. E di lasciar morire. La (un tempo gloriosa) Guardia costiera, colpevolmente e incredibilmente, ha chinato la testa, ha accettato lo scippo e sta molto attenta a non far nulla che possa dispiacere al Viminale. E non risponde ai giornalisti. E non diffonde immagini utili a ricostruire la dinamica di quel che accade in mare.
Quella Giorgia Meloni che dalle sue ferie d’agosto si dice “sgomenta” e se la sbriga rapidamente con poco accorte parole sui “trafficanti” è la stessa Giorgia Meloni che il 19 gennaio il miliziano torturatore trafficante Almasri ce l’aveva in cella a Torino grazie all’arresto eseguito dalla Digos su mandato d’arresto voluto dalla Corte dell’Aja e l’ha sottratto al processo della Corte penale internazionale riaccompagnandolo in gran fretta con volo di Stato in Libia. Ed è la stessa Giorgia Meloni che si applica a tener lontani dal mare tutti i testimoni dei crimini commessi da quelle milizie di cui il suo governo si serve. Se l’aereo Seabird1 di Seawatch non fosse stato sequestrato il 7 agosto su decisione dell’Enac, che dipende dal ministero guidato da Matteo Salvini, l’altro ieri sarebbe stato in volo e avrebbe potuto vedere quei due barconi incredibilmente sfuggiti a tutti i droni, ai radar, alla sorveglianza aerea delle autorità italiane e ai pattugliamenti dal cielo dei velivoli Frontex.
In applicazione a una norma ammazza-migranti infilata dal governo Meloni nel decreto flussi approvato ad ottobre, la settimana scorsa l’Enac ha bloccato per venti giorni quel piccolo aereo della flotta civile indispensabile ad individuare i naufraghi in tempo prima che affoghino e a documentare con video i respingimenti illegali di migranti sequestrati e deportati. La norma assassina estende agli aerei delle ong l’applicabilità delle norme Piantedosi volute nel 2023 per fermare le navi di soccorso. Era già successo nel novembre scorso all’aereo Colibrì, di Pilotes volontaires, poi liberato dal Tar. Serve tempo perché un giudice si pronunci sul ricorso contro il fermo, siamo ad agosto. Mese di partenze a raffica dalle coste libiche e tunisine. E intanto l’aereo che poteva segnalare anche i naufraghi dell’ultima strage di Lampedusa non può alzarsi in volo per volere del governo Meloni che non è riuscito a impedire il decollo degli aerei di salvataggio con la circolare Enac dell’estate scorsa, scritta tanto male da risultare inapplicabile. Non c’è riuscito con ispezioni a tappeto dei velivoli in cerca di un qualsiasi pretesto tecnico utile a bloccarli. Non c’è riuscito nemmeno con l’etilometro fatto arrivare l’anno scorso in tutta fretta a Palermo. E conta di riuscirci adesso utilizzando le norme Piantedosi estese dalle navi agli aerei.
La procura di Agrigento, che ha aperto un’inchiesta sulla strage di Lampedusa per naufragio colposo al momento a carico di ignoti, potrà quindi farsi dire quel che il Comando delle capitanerie di porto (Mrcc) a noi non dice. L’Mrcc non sapeva dell’esistenza di quelle due barche finché alle 11 di mercoledì mattina l’elicottero della Guardia di finanza ha avvisato di vedere corpi in mare? L’aereo di Frontex che martedì al tramonto era a 70 miglia a sud di Lampedusa e alle 20,30 è tornato indietro, visto da bordo della nave Aurora di Seawatch, ha pattugliato rientrando e non s’è accorta dei due barconi? La Gdf aveva forse un elicottero mercoledì alle 11 sul luogo del naufragio perché si apprestava a preparare un’operazione di polizia “di contrasto all’immigrazione clandestina”? Perché, se è così, la magistratura dovrà stabilire le responsabilità dell’omissione di soccorso. E l’ennesima strage di Lampedusa è stata un’altra Cutro.
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