Italia alla Cpi sul caso Almasri: 'Cambieremo le procedure'

Una revisione delle norme che regolano la cooperazione con la Corte penale internazionale, per evitare i corto circuiti che si sono verificati nella vicenda Almasri. Il governo gioca la sua ultima mossa per evitare il deferimento dell'Italia all'assemblea degli Stati parte della Cpi o al consiglio di sicurezza Onu.
A fornire rassicurazioni ai giudici dell'Aja è la mail dell'Esecutivo, sottoscritta dall'ambasciatore in Olanda Agusto Massari, che risponde alla richiesta di chiarimenti partita alcune settimane fa dalla camera preliminare della Cpi sul rilascio del generale libico colpito dal mandato di cattura per crimini contro l'umanità e di guerra. "L'esperienza maturata con il caso Almasri ha portato l'Italia - in tutte le sue articolazioni (Parlamento, governo e magistratura) - a intraprendere una revisione delle modalità con cui deve operare il sistema di cooperazione delineato dalla legge italiana" per "ottemperare agli obblighi internazionali nei confronti di questa Corte, che l'Italia conferma di voler rispettare", si legge nella mail giunta all'Aja venerdì 31 ottobre, termine ultimo fissato dalla Corte per una risposta. Sotto i riflettori c'è quindi la legge italiana n. 237/2012, sulla quale la stessa Corte d'Appello di Roma ha sollevato a sua volta una questione di legittimità, chiedendo alla Consulta di esprimersi sulla necessità della richiesta di permesso al governo per arrestare un ricercato per crimini contro l'umanità. Ci si chiede insomma - e non solo tra i magistrati - se sia più corretto che l'interlocuzione tra la Corte penale e la procura generale avvenga senza l'intermediazione del governo. L'idea è dunque di snellire e facilitare la cattura dei ricercati internazionali di una certa caratura, bypassando la necessità di coinvolgere in prima battuta il Guardasigilli: era stato proprio quest'ultimo passaggio a creare nella vicenda Almasri il primo elemento di discussione.
"È allo studio una possibile revisione della legge", si prosegue nella lettera. Insomma le perplessità della Corte d'Appello di Roma sarebbero le stesse dell'Esecutivo. Gli stessi ambienti di governo sottolineano che, sollevando il conflitto alla Consulta, i giudici attestano che c'è una confusione normativa e non è chiara l'interpretazione delle procedure di arresto di un ricercato per crimini contro l'umanità: serve un approfondimento giuridico, anche perché il caso Almasri è stato il primo in cui l'attuale norma aveva trovato applicazione. Non ci sono precedenti. Dubbi a cui toccherà rispondere per il futuro: il potere ultimo sull'esecuzione di arresti di questo tipo è in capo al ministro della Giustizia? Al di là delle questione tecniche, l'Italia ha ribadito la propria responsabilità politica nell'affaire del generale libico rimpatriato, "per motivi di sicurezza nazionale", specificando che "contro la decisione del Parlamento" di negare l'autorizzazione a procedere per i ministri della Giustizia e dell'Interno Nordio e Piantedosi e per il sottosegretario Mantovano, "la magistratura ha il potere di sollevare la questione del conflitto di attribuzione di poteri dello Stato dinanzi alla Corte Costituzionale".
Infine la precisazione sulla seconda indagine, quella che vede indagata la capo di gabinetto del ministero della Giustizia Giusi Bartolozzi per false dichiarazioni al pm: "è stata formalizzata dalla Procura di Roma, che è ovviamente indipendente, e la durata del procedimento non è in alcun modo prevedibile". Tutto adesso è rinviato agli Stati parte o al Consiglio di sicurezza dell'Onu, che decideranno su un eventuale deferimento dell'Italia per una vicenda che sembra destinata a restare ancora aperta.
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