Il silenzio di Meloni su Salvini e Macron


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la linea di palazzo chigi
La premier non telefona al presidente francese. Sa come funziona il suo vicepremier: non va preso sul serio, non c’è niente da spiegare
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Giorgia Meloni non ha telefonato a Emmanuel Macron. Non è un mistero che i rapporti tra i due siano altalenanti, ma stavolta la vera o presunta (e reciproca) antipatia forse non spiega tutto. Lasciando la Puglia, e le ferie, il presidente del Consiglio non ha fatto una telefonata distensiva al presidente francese per non gonfiare ulteriormente il caso nato dalle parole di Matteo Salvini. Frasi che suonavano così: “Macron, attaccati al tram e vacci tu in Ucraina”. In una situazione che si è fatta persino diplomatica, con la convocazione dell’ambasciatrice italiana a Parigi, Meloni ha scelto il silenzio. Non tanto per inimicizia con Macron, ma perché sa come funziona Salvini. Un uomo che si nutre dell’attimo fuggente, che rincorre ogni giorno un petardo nuovo e poi lo lascia esplodere da solo. Dall’inizio di questa esperienza di governo, Meloni ha adottato una strategia precisa nei confronti dell’alleato ex padano. Assecondarlo. Come si fa con un nipote un po’ svitato che confonde rappresentanza e rappresentazione, politica e intrattenimento.
Salvini non va preso alla lettera. Non va preso sul serio. Non lo faccio io per prima, non fatelo nemmeno voi. E’ anche per questo che, per dire, non appena Salvini la settimana scorsa ha attaccato il ministro della Sanità Schillaci quel ministro periclitante è diventato saldissimo al suo posto. E d’altra parte nemmeno Salvini prende sul serio se stesso. Ieri, come ha scritto il Corriere, si è infatti mostrato quasi stupito della reazione francese: “Lassù, sui monti del Trentino, Salvini pare essere già passato oltre”. Come se non capisse perché “attaccati al tram” sia diventato un incidente diplomatico.
Del resto Salvini non è nuovo a questo genere di equivoci sulla natura stessa della politica. E spesso è rimasto sinceramente interdetto di fronte a quanti prendevano sul serio le sue parole, o gli chiedevano conto di affermazioni fatte in precedenza. In passato, per dire, aveva candidamente confessato di non vedere differenze tra un premier che incontra Putin a un vertice internazionale e lui stesso che a Mosca sventolava la maglietta con la faccia del vecchio Vladimir. Lui, onestamente, non vedeva la differenza tra un incontro di stato e il tifo da cheerleader. “Se devo scegliere tra Obama e Putin scelgo PUTIN tutta la vita”, twittava. “Ne avessimo di più come lui sulla faccia della terra”, diceva. “Cedo due Mattarella per mezzo Putin”, aggiungeva. “Porterei Putin nella metà dei paesi europei mal governati da presunti premier eletti”, precisava. Frasi da innamorato fisso, da pon-pon boy del Cremlino. E tutto questo gli pareva uguale al presidente americano che stringe la mano a Putin in un vertice del G8. Ogni volta che gli veniva fatto notare che s’era messo a fare il tifo per un dittatore sanguinario, lui non capiva perché tutto questo gli venisse rinfacciato. Lo considerava normale, “così fan tutti”. Perché probabilmente – ed è quello che i suoi alleati di governo hanno capito da tempo – per lui la politica non è mai responsabilità ma spettacolo. E dunque, sembra lui stesso dire: non prendetemi sul serio.
Nel 2022, per esempio, dopo le condanne dei carabinieri accusati dell’omicidio Cucchi, quando una giornalista gli chiese conto delle sue vecchie frasi sul giovane morto, Salvini si innervosì. Non era la reazione di un politico in difficoltà, ma di uno che non sopportava in quel momento di essere riportato al passato, a fatti che lui considerava già inutili, bruciati, non più funzionali alla propaganda. Perché Salvini vive a naso: la Russia, i migranti, le tasse e anche Macron. Tutto si decide nell’improvvisazione del momento. Egli crede davvero che la politica sia marketing emotivo, colpi di teatro, trovate da cinque minuti. E Giorgia Meloni lo sa bene. Dunque anche per questo non telefona a Macron. Non c’è niente da spiegare.
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