Fine vita, storica udienza in Corte Costituzionale sull’eutanasia

Si riesamina l’art. 579 del codice penale, fermo al Codice Rocco: un’ottima occasione per uscire dalla logica ideologica dell’“Io non voglio, dunque nessuno può” che ora prevale
1. Oggi, a Palazzo della Consulta, si torna a discutere di “fine vita”, non di “morte”. È improprio, infatti, sovrapporre i due temi. La “morte” è un evento che segna la fine della vita, sigillando l’esperienza umana o – per il credente – avviando il grande trasloco in un altrove. Il “fine vita”, invece, è un processo che si svolge all’interno della vita, durante il quale il soggetto ha ancora voce sulla propria esistenza. Il mistero della morte è dopo la morte, non prima. Quel prima è, al contrario, un’esperienza umana integrale: di vita e di dolore, di diritti e di divieti, di coraggio e di infelicità. Ecco perché è spazio di normazione giuridica: seguiamone la mappa.
2. Non altrove, ma in Italia le scelte di “fine vita” sono schiacciate tra due reati: l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) e l’istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 c.p.). La relazione del Guardasigilli dell’epoca (1929, VIII dell’era fascista) ne spiega la ratio: conservare «l’esistenza fisica della persona» quale «prevalente interesse sociale» di un regime la cui forza dipendeva, in primis, dalla demografia. Su questo tronco è intervenuta la Consulta con alcuni intarsi giurisprudenziali ispirati alla tutela della vita umana, condizione essenziale per l’esercizio di ogni altro diritto costituzionale. Da qui, il dovere pubblico di assicurarla attraverso la legge: siano pure due reati del codice Rocco, riletti ora in chiave di protezione dei soggetti più fragili e vulnerabili a possibili pressioni, dirette o indirette, che inducano a scelte irreparabili.
Oggi come ieri, dunque, all’interrogativo di fondo («Di chi è la mia vita?») la risposta contraddice la natura retorica della domanda: non appartiene a me che la vivo, ma a qualcun altro. L’altro da me che decide della mia vita è la maggioranza parlamentare: storicamente, cioè, «il Parlamento (fascista) del 19 ottobre 1930» e, per omissione, tutti i Parlamenti repubblicani successivi (Paolo Flores d’Arcais). È una risposta pericolosa. Comporta il rischio che una maggioranza politica contingente imponga a tutti la propria etica in tema di “fine vita”, all’insegna dell’«Io non voglio, dunque nessuno può», smarrendo così la distinzione tra diritto e morale propria di uno Stato laico.
3. Fa argine a simili derive la Costituzione, rigida e garantita. Innanzitutto, con l’art. 32, 2° comma, base del principio di autodeterminazione («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge»). Le parole contano. La norma non parla di cure o terapie, ma di «trattamento sanitario» che è concetto più ampio: include, ad esempio, il prelievo di sangue, le iniezioni endovenose, l’inserimento di un sondino nasogastrico. Il rinvio alla legge non implica che qualunque trattamento sanitario legislativamente imposto sia legittimo. Lo è solo se motivato da ragioni di salute pubblica (e se rispettoso della dignità personale, come esige il 3° comma): è il caso esemplare dell’obbligo vaccinale.
Entra in gioco, poi, l’art. 13 Cost. («La libertà personale è inviolabile»). Nato come limite al potere coercitivo a garanzia dell’integrità di chi è sottoposto agli apparati statali, oggi l’habeas corpus è anche altro: rappresenta per l’individuo «la base imprescindibile della libertà di disporre della sua dimensione corporea», fondando l’autogoverno della persona (Stefano Canestrari). Sono queste le colonne d’Ercole per le scelte legislative sul “fine vita”. Come esplicitato dalla Consulta, «nessuno può essere “obbligato” – e tanto meno fisicamente “costretto” – a sottoporsi a un trattamento sanitario sul proprio corpo e nel proprio corpo. L’esecuzione di un tale trattamento violerebbe […] lo stesso diritto fondamentale all’integrità fisica della persona» (sent. n. 135/2024). Tutto ciò differenzia giuridicamente le forme possibili del congedo dalla vita: passiamole in rassegna.
4. «Voglio morire», dice il malato. E così dicendo rivendica per sé una scelta suicidaria. Per i più tra noi è sempre possibile metterla in atto: il suicidio, infatti, non è punito, neppure nelle forme del reato tentato. È una libertà di fatto. Ciò che, invece, l’ordinamento riconosce e garantisce è il diritto di rinunciare o di rifiutare, in qualsiasi momento, trattamenti sanitari anche se necessari a salvare la propria vita. Esemplifico? Non si può imporre l’emotrasfusione a chi, per motivi religiosi, la rifiuta per sé. Né tagliare un arto al diabetico, che preferisce morire al vivere in un corpo amputato. Né la chemioterapia alla donna malata di cancro che la rifiuta per non compromettere la salute del concepito. In tutti questi casi, opera il principio del consenso informato, disciplinato dalla legge n. 217 del 2019, all’interno dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente.
5. «Lasciami morire», dice il malato condannato da una patologia irreversibile. È un’invocazione rimasta a lungo inascoltata per due ragioni: il «prometeismo idiota» dell’accanimento terapeutico (Vincenzo Paglia) e la punizione di chi agevola «in qualsiasi modo» (art. 580 c.p.) l’altrui volontà suicidaria. Chiamata in causa grazie alle disobbedienze civili di Marco Cappato, è qui che la Corte costituzionale ha lavorato d’intarsio, escludendo – a determinate condizioni – la punibilità dell’aiuto al suicidio (sent. n. 242/209) ed allargando la platea dei malati che possono accedere al suicidio medicalmente assistito (sentt. nn. 135/2024, 66/2025). Supplendo alla deliberata inerzia del Parlamento, alcune Regioni hanno dato attuazione al giudicato costituzionale con normative cedevoli (alla futura legge statale), miranti a garantire tempi certi e procedure omogenee ai malati interessati. Della legge toscana (n. 16 del 2025) discuterà prossimamente la Consulta: lo Stato, infatti, ne ha contestato la costituzionalità per invasione di quelle sue competenze che, ad oggi, non ha inteso esercitare. Di nuovo, «Io non voglio, dunque nessuno può».
6. «Aiutami a morire», dice il malato. E così dicendo chiede qualcosa che l’ordinamento impedisce punendo l’omicidio del consenziente: la vita altrui, infatti, è un bene indisponibile. Sull’art. 579 c.p. si è già cercato di agire chirurgicamente per via referendaria, ma il quesito è stato bocciato dalla Corte costituzionale con una decisione quantomeno controversa (sent. n. 50/2022). Oggi, è proprio questo articolo che ritorna alla Consulta, oggetto di una quaestio promossa dal Tribunale di Firenze. Nasce dal caso di una malata di sclerosi multipla progressiva che versa nelle condizioni stabilite dalla sent. n. 242/2019, ma non è in grado di assumere da sé il farmaco letale. Paralizzata dal collo in giù, potrebbe somministrarselo per endovena azionando un dispositivo con il movimento dei muscoli della bocca o dei bulbi oculari o con un comando vocale, ma il mercato non dispone di apparecchiature simili. Vuole congedarsi dalla vita dignitosamente, ponendo fine al proprio insopportabile calvario, ma non può farlo da sola. Le serve l’aiuto che il medico curante è disposto a prestarle. Aiutandola, però, commetterebbe un reato punito con la pena da 6 a 15 anni di detenzione.
È una situazione normativa di dubbia costituzionalità, perché l’incriminazione condiziona irragionevolmente l’autodeterminazione del paziente (artt. 2, 13, 32 Cost.), creando una disparità di trattamento tra malati (art. 3 Cost.). Quel suo diritto resta appeso ad una circostanza del tutto accidentale, uscendone pregiudicato proprio negli stati più gravi e sofferenti della malattia. Il rischio è che il soggetto sia indotto ad anticipare la scelta suicidaria, temendo il decorso imprevedibile della patologia. Nella sua attuale portata, quindi, l’art. 579 c.p. trasforma il diritto alla vita nel dovere di viverla, fino alla fine, in condizioni contrarie alla dignità e alla volontà del malato.
7. L’esito dell’udienza odierna peserà nell’iter parlamentare – partito in questi giorni con il piede sbagliato – verso una legge che manca da troppo tempo. Stay tuned.
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