Cosa è il decreto flussi, la grande truffa che finge di accogliere per sfruttare

La grande truffa dei lavoratori stranieri
Il governo ripropone la lotteria del click day, fingendo che i lavoratori in arrivo vengano qui per un breve periodo, senza garantire loro nulla in tema di sanità e altri diritti fondamentali. E soprattutto senza alcuna garanzia di permanenza: solo il 7,8% degli stranieri arrivati qui l’anno scorso ha ottenuto un permesso di soggiorno.

“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico”, scriveva Giovanni Pascoli nella poesia L’aquilone composta nel 1897. Mi è tornata in mente in un’accezione ironica perché il suo incipit ben si adatta a definire cos’è il nuovo decreto flussi per l’ingresso dei lavoratori stranieri che il Governo in carica ha appena approvato (in attesa del parere della Conferenza unificata e delle competenti commissioni parlamentari). Nonostante l’enfasi propagandistica con il quale è stato annunciato, quasi si trattasse di una svolta nella politica del governo Meloni sull’immigrazione, non c’è in tale decreto nulla di sostanzialmente nuovo, bensì è la riproposizione di un vecchio meccanismo, logoro, ipocrita ed irrazionale, con il quale si continua a negare proprio ciò che all’apparenza si annuncia di voler fare, ovvero realizzare procedure che permettano un ingresso regolare per lavoro da parte di cittadini extra UE.
Iniziamo l’esame del Dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri) a partire dai numeri: per il triennio 2026-2028 si prevede l’ingresso di 497.550 lavoratori stranieri, a fronte dei 452.000 del triennio precedente. Un incremento dunque molto modesto, di circa il 10%. Nell’articolo 2 del Dpcm si afferma l’esistenza di una “correlazione tra l’entità dei flussi di ingresso e il fabbisogno del mercato del lavoro (…) in logica incrementale nel triennio”; non viene tuttavia fornita alcuna spiegazione su quali siano state le fonti documentali di riferimento che hanno portato il Governo a prevedere un così modesto aumento del numero degli ingressi. Per compensare gli enormi e crescenti squilibri determinati dal calo della natalità e dall’aumento della longevità sottolineati con costanza da tutti gli studi scientifici, e da ultimo quello condotto dal Working Group on Ageing Populations and Sustainability (WGA) presso la Commissione Europea, sarebbe necessario un ingresso di lavoratori stranieri che calcolato per una sola annualità dovrebbe attestarsi appena al di sotto di quanto viene invece previsto per l’intero triennio.
Non c’è dunque nel decreto alcuna consapevolezza della reale e drammatica situazione del fabbisogno del mercato del lavoro, in nessun settore (in particolare per l’assistenza famigliare, il divario tra quanto viene previsto e il fabbisogno reale è enorme) e semmai emerge la mancanza di un disegno di governo delle migrazioni e un’assenza di visione sul futuro del Paese. Un diverso e ben più robusto programma di ingressi di lavoratori stranieri dovrebbe inoltre essere accompagnato da un piano nazionale per l’integrazione sociale, pur previsto dall’articolo 42 del TU Immigrazione, ma di cui non c’è alcuna traccia, come se non occorresse fare nulla per garantire a centinaia di migliaia di nuove persone l’effettivo accesso all’assistenza sanitaria e sociale, all’alloggio, alla formazione linguistica e all’istruzione. La disinvolta assenza di tali interventi è divenuta così costante che di questi temi nessuno neppure più ne parla. Senza che venga fornita alcuna spiegazione basata su dati e ricerche autorevoli, le quote di ingresso per lavori stagionali risultano nettamente maggiori per tutto il triennio rispetto alle quote di ingresso per lavoro subordinato (es: nel 2026 sono previste 76.200 quote per lavoro subordinato rispetto a 88.000 quote per lavoro stagionale).
Anche se a seguito di una positiva modifica della normativa intervenuta con il DL 145/24 il lavoratore stagionale che ha svolto attività lavorativa per almeno tre mesi può essere assunto con un contratto di lavoro subordinato in qualunque settore, l’impostazione del decreto flussi sembra ispirata da una concezione del tutto errata che continua ad immaginare come temporanea la presenza di gran parte dei lavoratori stranieri nell’economia italiana. La questione della mancanza di poter accedere al sistema delle quote in più momenti dell’anno evitando che tutte le domande si concentrino nella spasmodica corsa al microsecondo del click day rimane completamente non affrontata; sono previsti quattro click day nel corso dell’anno ma sono suddivisi per mansioni lavorative (il click day per il settore agricolo, quello per il settore turistico etc.). Per settore si continua dunque ad avere una sola possibilità nel corso dell’anno di presentare la domanda di chiamata lavorativa per lavoro. Si tratta di una procedura che contrasta in modo palese con il funzionamento del mercato del lavoro (il datore di lavoro che ha bisogno di un lavoratore che non riesce ad accedere al click day dovrebbe attendere l’anno successivo per chiamare quel lavoratore, cosa che ovviamente non farà).
Una breve riflessione va dedicata a quel simbolico numero di lavoratori stranieri (320 all’anno) che sono rifugiati o apolidi riconosciuti dall’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) che si trovano “nei paesi di primo asilo o di transito” (Dpcm art.7). Può apparire una misura positiva e innovativa, per quanto modesta quantitativamente, e anche alcune associazioni la valutano come tale. Non ritengo tuttavia che sia così: non ha alcun senso prevedere una briciola di quote di ingresso per rifugiati da fare arrivare come lavoratori, mescolando in modo confuso piani di intervento e concetti giuridici completamente diversi, ovvero la protezione internazionale e gli ingressi per lavoro: ciò di cui abbiamo bisogno è di una nuova normativa che preveda l’obbligo per l’Esecutivo di predisporre un programma annuale di ingressi protetti per rifugiati (da ovviamente inserire in percorsi di autonomia socio-lavorativa una volta arrivati in Italia) che offra un’alternativa parziale (ma reale) all’unico canale di accesso al nostro Paese cui i rifugiati possono oggi rivolgersi, ovvero quello fornito dalle organizzazioni criminali.
Come è stato evidenziato dalla campagna “Ero Straniero” nel dossier intitolato “Lunghe attese e irregolarità: neanche “ritoccato”, il decreto flussi funziona”, che ha analizzato i dati relativi agli ingressi per lavoro a partire dai click day di dicembre 2023 e marzo 2024, nel 2024 solo il 7,8% delle quote di ingressi stabilite dal governo si è trasformato in permessi di soggiorno e impieghi stabili e regolari. Come osserva il Rapporto può facilmente accadere “che il datore si rifiuti di formalizzare il rapporto di lavoro o che venga meno la disponibilità all’assunzione perché l’ingresso è avvenuto con tempi troppo lunghi rispetto alle esigenze dell’azienda o delle famiglie. O ancora, purtroppo, può trattarsi di vere e proprie truffe e comportamenti illegittimi a danno di lavoratrici e lavoratori che pagano alcune migliaia di euro a intermediari o presunti datori di lavoro, salvo arrivare in Italia e non avere da loro più notizie”.
Quanto evidenzia il rapporto ci conduce al cuore della questione: il decreto flussi per come è configurato dalla normativa vigente non è affatto uno strumento di programmazione degli ingressi per motivi di lavoro perché risulta basato su un presupposto del tutto irrazionale, ovvero l’ipotesi che si verifichi nella realtà un inafferrabile, direi quasi magico, incontro a distanza tra un datore di lavoro in Italia e un lavoratore straniero abitante un qualsiasi Paese del globo, senza che le parti si siano mai incontrate e senza che ci sia stata una prova di impiego. È a tutti chiaro (e per ciò rimosso) che, salvo casi limitati e residuali (es: rapporti di parentela tra il datore di lavoro e il lavoratore, assunzione del lavoratore straniero che si è conosciuto all’estero in altra occasione, accettazione da parte del datore di lavoro della richiesta pressante di un suo lavoratore con cui ha un forte legame di fiducia di assumere un suo amico o parente, assunzione di persona con alta specializzazione con cui il datore di lavoro accetta di stipulare il contratto senza aver precedentemente conosciuto la persona etc.) l’irrazionale procedura di assunzione a distanza alimenta due canali: il primo è quello della truffa costruita sulla finta assunzione del lavoratore che si trova all’estero e che una volta arrivato in Italia non troverà alcun datore di lavoro o eventualmente troverà solo un percorso di feroce sfruttamento e ricatto.Chiunque può comprendere che non si affronta questa strutturale distorsione prodotta dalla procedura del decreto flussi con disposizioni repressive, introdotte anche di recente, che hanno come unica conseguenza l’aumento delle tariffe.
Il secondo e largamente maggioritario canale è quello dell’emersione del lavoratore straniero che è già in Italia e già lavora in nero con il datore di lavoro che finge la sua assunzione dall’estero. Nel migliore dei casi questa procedura basata sulla finzione e sull’ipocrisia permette di regolarizzare la situazione di un lavoro nero che era stato, anche per anni, l’unica possibilità di sopravvivenza del lavoratore straniero. Sarebbe tuttavia assai ingenuo pensare che molti dei rapporti di lavoro che riescono ad emergere con il decreto flussi siano stati solo irregolari sul piano amministrativo e non siano invece stati segnati da livelli più o meno gravi di sfruttamento dei lavoratori che non avevano nessuna possibilità reale di affrancarsi dalla loro condizione; non c’è qui lo spazio per una disamina dell’efficacia delle procedure di tutela per le vittime di intermediazione illecita e sfruttamento di cui all’articolo 18 ter del TU Immigrazione, ma ciò che è evidente è che tali procedure, dall’incerta e limitata applicazione anche in ragione della mancanza di finanziamenti, possono avere una qualche utilità solo se affrontano situazioni numericamente limitate.
L’ordinamento giuridico attraverso i suoi limitati strumenti (repressione penale e assistenza alle vittime) può cercare di affrontare la patologia di un fenomeno, ma non già la sua stessa ordinaria esistenza e riproduzione; lo sfruttamento del lavoro legato alla condizione di forzata irregolarità di soggiorno è un fenomeno generalizzato e strutturale che ha riguardato negli ultimi decenni milioni di lavoratori stranieri e che è diretta conseguenza di una norma, come il decreto flussi sugli ingressi per lavoro, che rimane intatta nella sua irrazionalità ed iniquità.
l'Unità