Piccolo non è sempre bello, nemmeno per l’affidamento dei servizi socioassistenziali

Il futuro dei servizi sociali passa dall’aumento delle risorse ma anche da un sistema di appalti più organico e meno frammentato. Solo una programmazione più coordinata degli affidamenti consente infatti di assicurare interventi più stabili e omogenei sul territorio, una maggiore efficienza da parte della pubblica amministrazione e un sistema di welfare più equo, mirato e accessibile.
La Corte dei conti accende un faro sulle procedure di aggiudicazione dei servizi socioassistenziali e fa luce su uno scenario caratterizzato da polverizzazione delle gare, prevalenza degli affidamenti diretti e durata breve degli interventi messi in campo. Un quadro che se da un lato non desta allarme nell’immediato perché garantisce comunque una risposta flessibile ai bisogni della collettività, dall’altro allunga un’ombra sulle prospettive di tenuta dei diritti sociali a causa dell’effetto combinato della scarsa sostenibilità economica del welfare e degli squilibri demografici. L’indagine della magistratura contabile, questo il valore aggiunto dell’approfondimento contenuto nella recente Relazione sulla spesa sociale negli enti territoriali. Esercizi 2019-2024, è particolarmente interessante perché poggia su una solida base di dati dell’Autorità nazionale anticorruzione-Anac. Il campione esaminato, in particolare, riguarda 2.800 Comuni che hanno aggiudicato nel corso del quinquennio 14.622 gare pari a 14.980 affidamenti.
Le scelte degli enti locali sugli appalti sono determinate sia da vincoli normativi che da esigenze operative legate alla specificità dei servizi sociali. Gli affidamenti diretti, nello specifico, sono di gran lunga la tipologia più diffusa. Ben 8.550 su un totale di 14.622 procedure analizzate. Una percentuale di circa il 60% a cui corrisponde però un importo appena inferiore a un miliardo su un valore complessivo di circa 4,8 miliardi di importo aggiudicato. Contro, ad esempio, più di 2,5 miliardi per la procedura competitiva aperta. L’affidamento diretto a soggetti non profit, sottolinea il report, è generalmente considerato una «modalità appropriata» nel settore dei servizi sociali. Ma perché avviene così di frequente? La preferenza, condizionata anche dalle soglie stabilite dal Codice dei contratti pubblici, si spiega con l’esigenza di speditezza dell’esecuzione «motivata dalla necessità dei Comuni di rispondere con tempestività ai bisogni della collettività di riferimento, assicurando la continuità nell’erogazione dei servizi». Una prassi, evidenzia l’indagine, particolarmente frequente nei settori dell’assistenza domiciliare o della gestione di strutture destinate a minori e anziani. La procedura competitiva aperta, come visto, pur rappresentando una quota limitata in termini di numerosità (solo 1.920 gare), incide in misura rilevante sul valore complessivo posto a base di gara. Un dato che conferma come le procedure competitive possano costituire «uno strumento appropriato per l’affidamento di servizi caratterizzati da un ampio spettro di intervento e da una prospettiva di erogazione continuativa nel tempo, garantendo al contempo trasparenza e adeguata concorrenzialità», spiegano i giudici.
Il rapporto rileva differenze significative anche nella durata media degli appalti, elemento che prova ulteriormente la funzione di flessibilità tipica degli affidamenti diretti. Gli appalti affidati attraverso procedure aperte presentano, in media, una durata contrattuale più lunga rispetto alle altre tipologie di affidamento, attestandosi intorno ai 2,3 anni. Gli affidamenti diretti, al contrario, hanno una durata media inferiore all’anno.
La Corte dei conti, grazie alle informazioni raccolte e ai dati estratti dal Registro delle imprese, fa emergere un nesso significativo tra le procedure di affidamento pubblico e le caratteristiche strutturali degli operatori economici coinvolti. Il settore sociale presenta, si sa, una forte concentrazione di cooperative e organizzazioni del Terzo Settore, per lo più di dimensioni medio-piccole e radicate sul territorio. Una configurazione che «implica una capacità limitata di competere in gare di importo medio-grande, sia per vincoli economici, legati alle risorse disponibili, sia per vincoli tecnici, connessi alle competenze richieste». Ecco spiegato, conclude il rapporto, l’ampio ricorso da parte degli enti locali agli affidamenti diretti: una modalità che, rispetto ad altre procedure, offre maggiore rapidità e semplicità di attuazione.
C’è un altro lato della medaglia che si rischia di non vedere o di non voler vedere però. La prevalenza di procedure di affidamento meno complesse ha favorito «la creazione di un sistema economico caratterizzato da ridotti incentivi, per gli operatori, a sviluppare capacità tecnico-economiche più avanzate». Una dinamica che da un lato consente di assicurare efficienza e continuità nell’erogazione dei servizi ma dall’altro pone interrogativi sulla competitività del settore e sulla qualità e l’innovazione delle prestazioni erogate. La struttura duale degli affidamenti, caratterizzata da un numero limitato di procedure di elevato importo e da un’ampia quantità di procedure di valore contenuto, potrebbe rendere complessa la pianificazione di economie di scala da parte degli stessi operatori economici e costituire, al tempo stesso, un ostacolo alla definizione e all’attuazione di politiche di welfare di lungo termine.
Le cooperative e le imprese sociali necessitano di rafforzare le proprie capacità attraverso percorsi di formazione, un migliore accesso al credito e lo sviluppo di competenze tecniche e gestionali. Solo così potranno partecipare efficacemente a procedure di gara più complesse
Da dove ripartire? Le cooperative e le imprese sociali – che rappresentano l’ossatura di questo sistema – necessitano di «rafforzare le proprie capacità attraverso percorsi di formazione, un migliore accesso al credito e lo sviluppo di competenze tecniche e gestionali. Solo così potranno partecipare efficacemente a procedure di gara più complesse, contribuendo in maniera più incisiva ed efficiente alla soddisfazione delle esigenze collettive e alla sostenibilità delle politiche sociali». Il ricorso a gare che impongono maggiore apertura alla concorrenza potrebbe determinare pertanto l’effetto di favorire l’aggregazione degli operatori che così vedrebbero espandersi le loro capacità tecniche e economiche. Piccolo, insomma, non sempre è bello. Neanche nel caso delle imprese socioassistenziali, sembra suggerire la Corte dei Conti.
Foto di Tolu Akinyemi su Unsplash
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