Ozempic, dismorfismo, diet culture: come proteggersi dai danni della bellezza a tutti i costi

C’è una pressione silenziosa che si insinua nelle nostre vite, soprattutto se siamo donne, soprattutto se siamo giovani. Scrolli il feed e, senza accorgertene, inizi a misurarti. Con il corpo di qualcun’altra, con la pelle filtrata di qualcun’altra, con la vita “in target” di qualcun’altra. Per molte donne questo confronto non è un gioco innocuo, perché i social non mostrano solo immagini, piuttosto costruiscono aspettative. E quando l’asticella si alza fino all’ideale estetico del momento, il rischio personale e sociale è che l’autostima si assottigli, le relazioni si complichino e le scelte quotidiane finiscano per essere governate dall’ansia dell’essere all’altezza.
La cultura della dieta — ieri demonizzata, oggi riproposta in versione iper-performante — torna a bussare forte e trasuda anche dal linguaggio “motivazionale”, con il risultato che molte ragazze passano dalla ricerca del benessere alla rincorsa del controllo. È un costo altissimo, pagato in ore davanti allo specchio, calorie e centimetri contati, ossessioni. Il senso di inadeguatezza è drammaticamente dettato da trend e algoritmi, non è un incidente, per questo ancor più pericoloso. Serve urgentemente un cambio di rotta culturale, prima ancora che individuale.
Dati, segnali, derive: il quadro della situazioneL’Osservatorio sulle micro-culture digitali IDentities dell’agenzia creativa Together fotografa bene questa tensione: quattro persone su cinque dichiarano che i social media hanno avuto un peso sul rapporto tra cibo e corpo. Nelle community digitali la diet culture riappare con forza se 470 mila post su TikTok con l’hashtag #ozempic e spingono a modelli di magrezza e performance fisica. Parallelamente cresce l’interesse per pratiche personalizzate e più rispettose dei bisogni femminili: #pcosdiet (+25%), #cyclesyncing (+18%), #antiinflammatorydiet (+40%).

Il punto, però, non è solo cosa seguiamo, piuttosto a chi diamo credito. In Italia, il 35% dei 16-34enni si affida agli influencer per aggiornarsi su temi di salute e nel frattempo cresce il ricorso a pratiche olistiche, con un mercato stimato oltre 315 miliardi di dollari entro il 2030. Mentre l’82% dei consumatori chiede etichette chiare e il 62% guarda con scetticismo le promesse dei brand. Tradotto in parole povere c’è fame di autenticità, di strumenti comprensibili, di percorsi che non trattino il corpo come un progetto da consegnare “in tempo”.
“L’impatto sulla salute mentale è significativo - riflette la psicoterapeuta Agnese Cannistraci -: l’autostima ne risente, si possono sviluppare disturbi dell’umore e potrebbero emergere difficoltà nelle relazioni interpersonali. In terapia, puntiamo su una combinazione di ristrutturazione cognitiva, accettazione di sé e valorizzazione personale che trascenda l’immagine esteriore. Fondamentale è anche un percorso di decostruzione dei messaggi legati alla diet culture, unito alla possibilità di indagare e risignificare queste tematiche per la specifica persona: la manifestazione sintomatologica può essere simile e ricorrente per più soggetti, ma le cause che vi sono alla base possono essere differenti, come anche le risorse che la persona possiede in quello specifico momento di vita. Il profilo che sembrerebbe essere maggiormente sensibile ai temi legati alla percezione del proprio corpo è spesso quello di donne tra i 20 e i 35 anni, con forte esposizione ai social media e una tendenza all’interiorizzazione degli standard estetici dominanti nella nostra cultura attuale. Questo tipo di disagio potrebbe manifestarsi attraverso diverse modalità: dal dismorfismo corporeo ai disturbi del comportamento alimentare, ma anche con ansia sociale, evitamento delle relazioni o un persistente senso di inadeguatezza”.
Dunque il problema non è “parlare” di corpo, ma come se ne parla e cosa succede quando il racconto ignora le differenze e la storia personale di ciascuna di noi.

L’Osservatorio IDentities segnala un cambio di paradigma, con l’arrivo sui social della Wellness Priestess, una guida “imperfetta” che sposta il focus dal modello da raggiungere al rito da coltivare. Una specie di passaggio dalla prestazione alla presenza.
"Con Soul Feeders leggiamo in profondità le nuove tensioni che attraversano oggi l’idea di benessere, soprattutto al femminile - spiega Erta Konakciu, strategy & content lead di Together -, dando un senso ai segnali che circolano all'interno di questa community digitale. La Wellness Prie stess è uno di questi: un modello femminile con una nuova relazione con la cura di sé, simbolo di un self-care più autentico e imperfetto, non per dare soluzioni, ma per nutrire una ritualità collettiva e aprire spazi di condivisione, vulnerabilità e agency femminile".
Non la “dea” inarrivabile della perfezione, ma una donna reale che condivide fragilità, esperienze e rituali di auto-cura, accompagnando le community in un riequilibrio tra corpo, mente e spirito. Una guida empatica che parla di personalizzazione e connessioni sincere, non di regole scolpite nella pietra.
La rincorsa agli standard ha effetti che strabordano dal privato: quando migliaia di ragazze imparano che “valgo se rientro nel formato”, la società perde pluralità e spazio di parola. Si restringono le opportunità di partecipazione (quante rinunciano a sport, eventi, relazioni per “non farsi vedere”?), si normalizza l’auto-svalutazione, si cronicizzano ansie e condotte disfunzionali.
“Con IDentities - commenta Francesca Sonzini, head of strategy & marketing di Together - vogliamo offrire ai brand uno strumento che vada oltre il semplice trendwatching. In un contesto culturale fluido e iper-frammentato, conoscere davvero le comunità digitali significa capirne i codici, i valori e i rituali. Non si tratta solo di sapere chi sono, ma di comprendere come attivarle in modo autentico. Essere rilevanti oggi vuol dire saper leggere la complessità, non semplificarla.” Insomma, il monito per i brand è basta campagne che cavalcano la body positivity il lunedì e l’ossessione per la definizione addominale il martedì. Se vuoi parlare di benessere, rispetta il contesto, dichiara gli obiettivi, mostra i limiti. E smetti di vendere “perfezione”, perché non esiste ed è pure fuori budget.
Consigli praticiFacciamo pulizia del feed. Se un profilo ti fa sentire “meno”, non è ispirazione, è sottrazione; più rituali, meno risultati: piccole pratiche ripetute battono la prestazione “una tantum”; confronto consapevole per ricordarci che vediamo sempre highlight, non retroscena; parole che aiutano: il linguaggio che usi su te stessa è lo stesso che useresti con un’amica? Se no, cambialo. Infine “alleanze”: impariamo a seguire voci che dichiarano limiti e fonti, non solo “segreti” e “miracoli”. Il che non significa rinunciare all’estetica — ci mancherebbe — ma è necessario restituirle il suo posto, che deve essere a servizio della vita, non al comando.
Luce