Nessuna scaramanzia, Scott come Diego, "a mano a mano": Napoli tiene il fiato sospeso per lo scudetto

Napoli freme, ma non esulta. La città è in connessione con la squadra del ginnasiarca Antonio Conte che ha messo tutti a dieta di emozioni, in campo e fuori. Si potrà vincere, ma c’è da sudare e soprattutto da aspettare. Tutti col fiato sospeso. Gli striscioni, le bandiere e i nastri che si vedono in giro, anche nei quartieri popolari, sono i residui dell’altro scudetto, le macerie della vecchia festa non ancora consumate dai giorni passati e dal campionato sciagurato che ne è seguito, e nemmeno sono state ancora sostituite, come i drappi luttuosi raccontati da Carlo Levi in “Cristo si è fermato a Eboli”, solo che questi sono i drappi di festa.
Il sud è così: regala ancora al tempo la regia dei ricordi materiali. Non si tratta di scaramanzia, anche perché la scaramanzia è paura dell’evento e attesa di questo impastata alla magia, dopo l’esuberanza dello scudetto spallettiano, la scaramanzia era stata travolta e dimenticata, anche se sussiste, ma non ha più la centralità di un tempo, è recita per i turisti con i gadget allegati. La verità è che Napoli sa che non c’è ancora spazio per la festa, che si sta sul trapezio: saltando da una domenica all’altra, da una partita all’altra, soffrendo come l’ultima partita a Lecce. Anche se l’occasione è lì, e quindi pratica la prudenza, come quella del calcio contiano. Un occhio all’Inter e uno al Napoli, aspettando di poter festeggiare quello che è uno scudetto inatteso, non in programma.
Poi c’è la venerazione per l’uomo della stagione, a prescindere direbbe Totò. Per il vagocampista scozzese Scott McTominay a via San Nicola al Nilo – una delle stradine che collegano via dei Tribunali con Spaccanapoli – è stata edificata una edicola votiva, e al posto delle candele c’è un Super Santos, il pallone di strada, l’elemento cardine che tiene insieme il calcio e l’improvvisazione bambina, la sfera del sogno. Non male per il primo anno a Napoli, essere maradonizzato. È anche un avviso per tutti gli altri, McTominay sta trascinando la cooperativa Napoli e cercando di coprire il vuoto lasciato a gennaio da Kvaratskhelia. Lukaku, se vuoi l’edicola votiva devi segnare: questo è il messaggio. Per essere maradonizzati, a Napoli bisogna vincere ed essere protagonisti, sapendo che la squadra è stropicciata e che deve trasformarsi e coprire le mancanze ad ogni incontro. Una via crucis calcistica con la fascia sinistra come Golgota.
Ma i napoletani sanno bene che c’è un tempo per tutto, e sono specialisti nell’attesa come nella festa che segue. Oscillano, si lasciano cullare e sperano. Macerando nella possibilità di vincere, per questo nessuno pensa di anticipare nulla. "’Nu popolo ca cammina sotta ’o muro", come cantava Pino Daniele: si conosce la natura e le infinite possibilità di perdere quel che sembra certo. Non è scaramanzia, è conoscenza leopardiana della vita. È autoincanto. Nessuno esplicita la gioia, perché nessuno sa quello che può accadere e nemmeno la squadra è così forte da potersi permettere un azzardo. Se il motto di Rafa Benitez era "spalla a spalla", questo è "a mano a mano": si esce allo scoperto perché questa volta niente era già previsto, anzi.
La Gazzetta dello Sport