Milano, città delle mille discordanze
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Narrativa italiana «Un sogno così», il romanzo dello storico Paolo Colombo, pubblicato da Feltrinelli
È ormai un quotidiano lamento quello che descrive la Milano di oggi e le sue sempre più evidenti contraddizioni e disuguaglianze, ma come spesso capita in questi anni il lamento accoglie, al suo interno, visioni contrastanti. C’è chi denuncia una criminalità diffusa e restituisce la narrazione di una metropoli in crisi invasa da migranti e delinquenti (vanno sempre automaticamente in coppia per alcune persone) e chi invece prova a dare voce alle differenze sempre più spinte agli angoli (per non dire all’estrema periferia) di una Milano che sembra aver perso la propria anima e ragione civile.
DA CITTÀ ACCOGLIENTE e delle opportunità a città dello sfruttamento, il passo è breve e, in parte, la capitale meneghina mostra averlo compiuto quel passo, tra quartieri qatarini e week esclusive. Ma da dove partire per provare a riconoscere la città del Novecento che fu per l’Italia un riferimento di emancipazione economica, culturale e civile? Sicuramente il romanzo dello storico Paolo Colombo, Un sogno così (Feltrinelli, pp, 352, euro 20) aiuta ad arginare un vuoto che riduce la città senza alcuna contestualizzazione tra il dopoguerra di Rocco e i suoi fratelli e la retorica anni Ottanta della «Milano da bere». Due elementi certi, ma non capaci di raccontare un’origine né di spiegarne la prospettiva.
ATTENTO ALLE DINAMICHE che intrecciano storia a narrazione, Paolo Colombo, docente alla Cattolica di Milano che già aveva dato corpo agli eventi teatrali di storia narrata con il ciclo di «History Telling», con questo romanzo d’ispirazione famigliare riesce a cogliere pienamente quel passaggio stretto tra avvenimenti privati e pubblici e lo fa con la trama di una famiglia milanese negli anni ’50. L’autore rifugge da ogni stereotipo e lo fa anche grazie a una facilità narrativa, mai banale, che rende Un sogno così un vivido ritratto delle strade e di quel corpaccione milanese che, negli anni, è andato diradandosi fino a mutare in una sintesi di italianità sia reale che discutibile. Tutto questo senza mai eccedere in una forma di trita malinconia, ma colorando le pagine con una vena di rimpianto per quello stare nella vita che pareva offrire una qualità del reale migliore o quanto meno più aderente ai desideri e alle pulsioni vitali delle persone.
MILANO NEGLI ANNI ’50 è la frontiera italiana, qui arrivano i primi supermercati, qui il benessere porta in casa più che in altre città elettrodomestici e, per le strade, automobili. Colombo ricorre quasi al genere di un romanzo rosa con al centro l’amore tra Carlo e Liliana per dare corpo a quel racconto di come prese forma la nostra attuale società, segnata da inaccettabili contraddizioni ma che ha nel suo nocciolo ancora le potenzialità di un fare gentile e inclusivo. Un romanzo in grado di scandagliare una comunità, cogliendo la lezione di Giovanni Testori come di Luciano Bianciardi, con un’idea in parte pedagogica oggi fortemente necessaria, là dove la memoria perde giorno dopo giorno la propria valenza.
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