Cosa ci mostrano davvero le fotografie del nostro tempo?

Cortona – 23 mostre, 76 artisti da tutto il mondo: dalla Palestina all’Iran, dalla Francia al Canada, dagli Stati Uniti alla Russia, dall’Ucraina all’Italia, per “esplorare gli spazi tra le rotture e le riparazioni, tra il conflitto e l'unità, dando valore ai processi di guarigione e trasformazione che portano alla riconciliazione, e cercando modi per superare le fratture sociali, politiche ed economiche che segnano il nostro mondo”. Stiamo parlando della 15ª edizione del festival internazionale di fotografia Cortona On The Move, in programma dal 17 luglio al 2 novembre 2025 nel borgo toscano. Un traguardo significativo che conferma il festival come punto di riferimento globale per la fotografia e come piattaforma di produzione culturale, nonché di sostegno ai giovani talenti.
Al centro delle 23 mostre ci sono le fratture del nostro tempo. Da Alfredo Jaar, tra gli artisti più impegnati nell’indagare gli squilibri di potere e il divario sociopolitico, che per Cortona On The Move ha coprodotto con Photo Elysée – Museo per la Fotografia di Losanna – l’originale mostra Inferno & Paradiso, in cui 20 tra i più grandi fotoreporter di oggi sono stati invitati a selezionare due immagini dai loro archivi: la più straziante e quella che ha dato loro più gioia.
A Family Trilogy di Christopher Anderson & Marion Durand è un tentativo di riconciliazione tra il punto di vista del fotografo e quello della sua famiglia.
Distance & Belonging dell’artista palestinese Taysir Batniji, attraverso tre progetti – Home Away From Home, Disruptions e At Home, Elsewhere – propone una riflessione sulle nozioni di esilio, appartenenza, identità e memoria.
Fino alla mostra dell’artista Jan Banning, Blood Bonds: Reconciliation in Post-Genocide Rwanda, realizzata con il contributo del Mondriaan Fund, dedicata al genocidio del 1994 nel paese africano, che ha causato 800.000 vittime. E al progetto del fotografo ucraino Vic Bakin, dal titolo Epitome, una raccolta di cicatrici – visibili e invisibili – generate dal caos della guerra.

Il titolo di questa edizione è Come Together. Ne abbiamo parlato con il direttore artistico Paolo Woods. La società contemporanea è sempre più divisa, sempre più fratturata, e mi sono detto che la riconciliazione, il "come together", era qualcosa certamente di difficile da ottenere, ma a cui bisognava assolutamente puntare. È un’utopia, e come tutte le utopie è impossibile da raggiungere, ma è necessario tendere verso quel traguardo. Nel cartellone del festival troviamo tanti temi. Ma quello che mi sembra essere il tratto comune è la capacità di interpretare quello che potremmo definire lo "spirito dei tempi".
Ci sono molti traumi collettivi e personali messi in mostra. Cosa voleva raccontare con questa proposta?
Che la fotografia è necessaria. Che la fotografia serve a raccontare quello che succede nel mondo. E così abbiamo mostre sull'Ucraina, su Gaza, sull'Iran, sul cambiamento climatico, sulla violenza di genere. Ma serve anche a raccontare noi stessi, i traumi che possiamo aver subito. La riconciliazione con il nostro passato. E la fotografia può essere un mezzo straordinario per guardare il mondo in cui viviamo.
Com’è fare un festival di questo tipo in un luogo come Cortona?
Cortona è un luogo con un potenziale enorme, perché è già di per sé una meta turistica. Portare lì tutto il mondo della fotografia – chi vive di fotografia o chi se ne interessa – significa incrociare quel pubblico con i visitatori attratti dal borgo, che magari non andrebbero a vedere mostre di questo tipo, ma che, trovandosi lì, ci vanno. Cerchiamo di rispondere a tutte le dimensioni del mondo fotografico, ma anche di fare qualcosa che sia significativo, che abbia qualcosa da dire. Non è un divertissement. Siamo qui per indagare cosa la fotografia può fare oggi e perché è necessaria.
Oggi la fotografia la fruiamo soprattutto attraverso i social, sul nostro cellulare. Il rischio è una banalizzazione del mezzo. In che fase siamo?
Siamo in una fase in cui la fotografia è sempre più utilizzata: la usiamo per incontrare qualcuno, per ordinare al ristorante, per comunicare con i nostri figli su Instagram. Però c’è sempre meno cultura fotografica. Per questo io credo che le fotografie non dicano niente da sole, dicono qualcosa nel contesto. E un festival deve dare qualcos’altro: deve insegnarci a guardare la fotografia.

È per questo che il rapporto con i testi è fondamentale, e voi ci tenete così tanto?
Assolutamente! Io sono un maniaco del ping pong tra fotografia e testo. La fotografia è una specie di grilletto che fa partire qualcosa, poi però il testo ci porta a un altro livello di comprensione, e a quel punto torniamo alla fotografia con una coscienza diversa. Per questo tutte le mostre a Cortona le puoi guardare come immagini, ma poi puoi entrarci a un livello diverso grazie ai testi.
Se dovesse consigliare una mostra assolutamente imperdibile tra tutte quelle proposte da Cortona On The Move?
Beh, per un direttore artistico tutte le mostre in cartellone sono come figli, quindi sono bellissime allo stesso modo. Ma se proprio dovessi sceglierne una, indubbiamente quella di Alfredo Jaar, un artista universalmente riconosciuto che espone nei principali musei del mondo. Non è un fotografo, ma un artista che usa la fotografia. Per Cortona ha realizzato un’installazione immersiva con proiettori, chiedendo a 20 tra i più grandi fotoreporter impegnati nei fronti più caldi (da Gaza al Sudamerica) di scegliere lo scatto più terribile e quello più bello della loro carriera. Così è nato il progetto Inferno e Paradiso, che potete ammirare alla Fortezza. In 20 minuti vediamo 20 fotografie dell’inferno, attraverso il loro obiettivo, e poi – sugli stessi schermi – 20 delle immagini più belle che abbiano mai catturato.
Luce