<p>Platini, 70 anni di un artista senza tempo: buon compleanno Le Roi</p>

Ironico, caustico, battuta sempre pronta: chi lo ha visto giocare se ne è innamorato senza stare troppo a guardare il colore della maglia
Je suis Le Petit Prince de Rue de Saint- Exupery, Monsieur Football: oui, Michel Platini. Una storia detta in 70 lettere di alfabeto, come gli anni di Michel che nacque a Joeuf, un paesino al confine con Belgio e Germania, ma continua ad essere un cittadino del mondo. Nato nel primo giorno d’estate. Era un predestinato, lo racconta la data: la bellezza di una stagione, un sole che splende, la gioia di vivere. Magari l’avventura nel caldo e nel calore di un universo fatto di passione e contrasti: quello del pallone. E lui così diverso, amante di calcio divertente, passionale, magari sincero, il dribbling come fosse una battuta umoristica, la punizione come uno schizzo d’artista. Tutti noi, che lo abbiamo visto giocare, dobbiamo essergli grati: ci ha fatto divertire. E non stiamo a badare al colore di maglia. Coloro che lo hanno visto solo nelle foto o nei filmati, non sanno cosa si sono persi.
Questo è il Platini a miglior ricordo. Poi mettiamoci il carattere da francese impettito, l’avventura dirigenziale come presidente Uefa fino al 2015 quando un gioco sporco lo ha infilato in un tunnel da cui è sbucato, pochi mesi fa, con l’assoluzione dall’accusa di corruzione. «Sono uscito pulito, ma ha vinto chi mi ha rubato dieci anni», ha sintetizzato con l’amarognolo nel retrogusto. La vita non concede solo punizioni pennellate e gol da artista. Eppure la vita di Michel ha cumulato ricordi a sconfiggere qualunque brutta immagine. Le lontane radici italiane hanno condito l’essenza francese con l’estemporaneità nostra. Un tipo da jeans, riccioli e zoccoli: ironico, caustico, un’alzata di spalle ed una battuta sempre pronta. Nacque a Joeuf, in una culla non proprio in una stalla, e cominciò a giocare davanti al portone, guarda caso, “numero 10” di Rue Saint de Exupery. Gli chiusero la porta in faccia al Metz, gliela aprirono al Nancy. Pensarono di affidargli la maglia numero 9, ma poi con il 10 fu tutt’altra storia. Ed un altro simbolo. Mise naso nel calcio vero proprio il giorno del compleanno numero 17, nel 1972: esordio come dodicesimo uomo del Nancy contro il Valenciennes. Ma giocò la prima partita a 10 anni con il Joeuf. Esordì con la nazionale francese contro la Cecoslovacchia (27 marzo 1976) e subito mostrò il segno del potere: una punizione che andò in gol. Negli anni se la giocò con Maradona in fatto di punizioni: entrambi sapevano far passare la palla dove gli umani non avrebbero creduto. Compagni ed avversari restavano a bocca aperta. Chi per gioire, chi prendendola male.
La sua storia italiana seguì anni in cui aveva conosciuto diversi ospedali: tra 1972 e 1979 entrò e uscì 8 volte. Arrivò in Italia, strappato da Boniperti al Saint Etienne e all’Inter che lo teneva sott’occhio. In volo con un Cessna verso Torino cambiò la sua vita e cominciò a volare nell’alto del cielo calcistico. Vinse tutto quanto poteva: gli mancò solo il Mondiale con la Francia. Mise in bacheca tre Palloni d’oro. E quando l’Avvocato, ovvero Agnelli, si presentava a Villar Perosa a ca-vallo del suo elicottero, Michel era e restava il “suo vizio”: stessa definizione usata per Omar Sivori. Platini riassumeva il rapporto in questo modo: «Nessuna ambiguità, lui vuole vincere tutto e sa vivere la vita». A modo suo anche Platini: che poi definirono straniero in due nazioni.
Difficile il rapporto con i giornalisti, anche se trovò amicizia e comprensione con alcuni nati in Italia. Malinconico e immalinconito, solitario e viziato, c’era un po’ di tutto in quel Platini. Con la Juve fu una gloriosa cavalcata: pur con qualche intoppo e con lo straziante ricordo dell’Heysel. Il primo gol contro il Pescara in Coppa Italia, in campionato prima partita e sconfitta a Genova, seguirà la vittoria contro il Cesena al Comunale. La pubalgia gli giocò contro, ma non bastò a fermarlo. E il giorno che chiuse la carriera, il 17 maggio 1987, pomeriggio uggioso e piovoso, il Napoli che vince il campionato e la Juve che gioca contro il Brescia a Torino, disse, pensò, forse fu una battuta: «Sono morto a 32 anni». Ed, invece, eccolo: settantenne ancora in carriera. Meglio giocarsela con i dribbling piuttosto che con la diplomazia e con i dietro le quinte calcistici. Anche da presidente Uefa gli è riuscito qualche gol. E qualcun altro ne attendiamo su altre sponde. Lo chiamavano Le Roi. Difficile strappargli una corona.
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Je suis Le Petit Prince de Rue de Saint- Exupery, Monsieur Football: oui, Michel Platini. Una storia detta in 70 lettere di alfabeto, come gli anni di Michel che nacque a Joeuf, un paesino al confine con Belgio e Germania, ma continua ad essere un cittadino del mondo. Nato nel primo giorno d’estate. Era un predestinato, lo racconta la data: la bellezza di una stagione, un sole che splende, la gioia di vivere. Magari l’avventura nel caldo e nel calore di un universo fatto di passione e contrasti: quello del pallone. E lui così diverso, amante di calcio divertente, passionale, magari sincero, il dribbling come fosse una battuta umoristica, la punizione come uno schizzo d’artista. Tutti noi, che lo abbiamo visto giocare, dobbiamo essergli grati: ci ha fatto divertire. E non stiamo a badare al colore di maglia. Coloro che lo hanno visto solo nelle foto o nei filmati, non sanno cosa si sono persi.
Questo è il Platini a miglior ricordo. Poi mettiamoci il carattere da francese impettito, l’avventura dirigenziale come presidente Uefa fino al 2015 quando un gioco sporco lo ha infilato in un tunnel da cui è sbucato, pochi mesi fa, con l’assoluzione dall’accusa di corruzione. «Sono uscito pulito, ma ha vinto chi mi ha rubato dieci anni», ha sintetizzato con l’amarognolo nel retrogusto. La vita non concede solo punizioni pennellate e gol da artista. Eppure la vita di Michel ha cumulato ricordi a sconfiggere qualunque brutta immagine. Le lontane radici italiane hanno condito l’essenza francese con l’estemporaneità nostra. Un tipo da jeans, riccioli e zoccoli: ironico, caustico, un’alzata di spalle ed una battuta sempre pronta. Nacque a Joeuf, in una culla non proprio in una stalla, e cominciò a giocare davanti al portone, guarda caso, “numero 10” di Rue Saint de Exupery. Gli chiusero la porta in faccia al Metz, gliela aprirono al Nancy. Pensarono di affidargli la maglia numero 9, ma poi con il 10 fu tutt’altra storia. Ed un altro simbolo. Mise naso nel calcio vero proprio il giorno del compleanno numero 17, nel 1972: esordio come dodicesimo uomo del Nancy contro il Valenciennes. Ma giocò la prima partita a 10 anni con il Joeuf. Esordì con la nazionale francese contro la Cecoslovacchia (27 marzo 1976) e subito mostrò il segno del potere: una punizione che andò in gol. Negli anni se la giocò con Maradona in fatto di punizioni: entrambi sapevano far passare la palla dove gli umani non avrebbero creduto. Compagni ed avversari restavano a bocca aperta. Chi per gioire, chi prendendola male.
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