Giro d'Italia: Gioia e lacrime di Nicolas Prodhomme a Champoluc


Lo stupore di Nicolas Prodhomme sul traguardo della diciannovesima tappa del Giro d'Italia 2025 (Foto LaPresse)
Giro d'Italia - lettere a dislivello
Il francese ha vinto la diciannovesima tappa del Giro d'Italia 2025. Isaac Del Toro, secondo all'arrivo, ha guadagnato altri due secondi su Richard Carapaz, l'unico a provare a staccare la maglia rosa
Fino al 1887 a Champoluc c’erano una trentina di abitazioni, una cinquantina di stalle e un largo sentiero con più pietre che ghiaia che era una carrozza non ci arrivava intera in cima. E a nessuno sarebbe venuto in mente di salire in carrozza per raggiungere un posto dimenticato dall’uomo, ma non certo da Dio. La prima volta che finì sin lassù l’alpinista Luigi Brioschi, il primo uomo a scalare la Punta Nordend del Monte Rosa, scrisse di aver “incontrato coi sensi la meraviglia di panorami cimosi, il suono dell’acqua fresca che scorre, l’odore dell’estate alpina”.
Se non ci fossero stati gli alpinisti probabilmente a nessuno sarebbe venuto in mente di tirar via tonnellate di pietre e rendere carrozzabile la carrareccia che univa Verrès e Brusson e allungarla sino a Champoluc.
Non fosse stato per gli alpinisti che volevano salire sul versante sud del massiccio del Monte Rosa, il Giro d’Italia non sarebbe mai arrivato a Champoluc. E nel volto, sempre tendente al tragico quando la strada sale, di Nicolas Prodhomme non sarebbe comparso un sorriso. Il sorriso soddisfatto e stupito di chi non è abituato a vincere.
Nicolas Prodhomme ha avuto un ghigno per pedalata, uno sbuffo per metro di dislivello, mentre saliva di gambe, braccia e schiena, sghembo e imperfetto sulla sua bicicletta, mentre si liberava della compagnia di Antonio Tiberi e Carlos Verona sulla strada che saliva verso il Col de Joux (tutti gli altri compagni di evasione s’erano perduti strada facendo). E poi mentre procedeva da solo, estasiato dalla solitudine dell’uomo solo al comando. Actor’s Studio ciclistico.
Sotto lo striscione d’arrivo della diciannovesima tappa della corsa rosa, il francese ha alzato le braccia al cielo, si è portato le mani alla testa, ha urlato. Poi si è seduto a terra, ha appoggiato la schiena alle transenne e ha iniziato un po’ a ridere e un po’ a piangere. Perché se non è facile pedalare in salita, lo è ancora meno controllare certe emozioni. Soprattutto quelle che ti scoppiano dentro dopo aver realizzato di aver vinto la tappa più dura, almeno per metri di dislivello, del Giro d’Italia 2025.
Dietro a lui, in testa al gruppo, gli uomini della maglia rosa controllavano. Con il ritmo sconsigliavano agli avversari di Isaac Del Toro l’attacco. E quando qualcuno si affacciava nelle primissime posizioni, Rafał Majka gli si avvicinava, lo guardava, accelerava quel tanto che bastava per far capire che era meglio che tornasse al suo posto.
Ha funzionato a lungo.
Solo negli ultimi chilometri della strada che portava al Col de Joux, qualcuno ha provato a liberarsi degli altri. È durato poco, poche decine di metri Giulio Pellizzari. Poche centinaia di metri quello di Richard Carapaz. Solo in quel momento Rafał Majka ha avuto un momento di cedimento. È durato poche centinaia di pedalate soltanto.
Solo negli ultimi chilometri della strada che portava ad Antignod, l’ultimo Gran premio della montagna di giornata, qualcuno è riuscito a fuoriuscire dal gruppetto che raggruppava i pochi che erano riusciti a reggere il ritmo che prima il Team Visma | Lease a bike e poi il UAE Team Emirates avevano imposto. E l’unico che c’è riuscito è il solito Richard Carapaz.
Va dato atto all’ecuadoriano di credere ancora nella possibilità di vestire la maglia rosa. Va dato atto all’ecuadoriano non aver perso la convinzione che un altro finale sia possibile.
Va però dato atto a Isaac Del Toro di non avergli concesso un metro, di averlo seguito zompettando sui pedali alla maniera di chi sta facendo qualcosa di semplice. Non lo era. Lo si è visto. Nessuno è riuscito a stare in scia a Richard Carapaz. Nessuno tranne il messicano.
Richard Carapaz non ha staccato la maglia rosa. Dovrà aspettare domani, quando le sue ruote inizieranno a scorrere sullo sterrato che porta alla cima del Colle delle Finestre per poterci riprovare, per cercare di portare a compimento il suo desiderio di ribaltare il Giro d’Italia. Non si deve però crucciare troppo. Certo ha perso altri due secondi dalla maglia rosa – ora il ritardo in classifica generale dell’ecuadoriano è di quarantatré secondi – ha pur sempre distanziato Simon Yates di altri ventotto secondi: ventiquattro su asfalto e quattro grazie agli abbuoni.
E non fosse stato per il lavoro fatto Antonio Tiberi, ripresosi dopo i dolori causati dalla caduta negli ultimi chilometri della tappa che portava a Nova Gorica, sarebbero stati ben di più. Il laziale si è messo a servizio di Damiano Caruso, con la volontà di dare tutto se stesso per difendere, e magari migliorare, il quinto posto del suo compagno di squadra. Secondo i piani di Durazzo le parti dovevano essere invertite: è lodevole che Tiberi lo abbia fatto. Del ragazzino un po’ troppo convinto di se stesso, o così almeno lo avevano descritto all’inizio della sua carriera, c’è sempre meno traccia.
Domani il Giro d’Italia vivrà la sua ultima giornata alpina. Scalerà la Cima Coppi, che quest’anno ha le sembianze del Colle delle Finestre.
Per solidarietà ai corridori che corrono il Giro d’Italia, qui si è deciso di raccontare le tappe del Giro d'Italia facendo la loro stessa fatica: una lettera a metro di dislivello. Ecco il racconto della diciannovesima tappa, la Biella-Champoluc, 166 chilometri e 4.950 metri di dislivello, in 4.950 battute (spazi inclusi).
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