Formula 1: dalle tragedie del passato alle innovazioni salvavita


Il Gran Premio del Belgio ha mostrato ancora una volta come la priorità della Fia e dell’intera Formula 1 sia la sicurezza dei piloti e delle persone che lavorano nel Circus. Sebbene l’intero motorsport sia nato dall’adrenalina che porta a spingersi oltre i limiti, l’evoluzione del mondo sportivo come sistema di emozioni e valori positivi ha visto prevalere la necessità di evitare tragedie in diretta TV. Così, la pioggia caduta in abbondanza sul circuito di Spa-Francorchamps avrebbe potuto essere la scintilla di una gara matta e divertente, ma anche pericolosa: su un circuito che ha visto Anthoine Hubert perdere la vita nel 2019, alla guida di una F2, il campionato propedeutico alla F1, la Direzione Gara ha preferito rimandare l’avvio e aspettare che il temporale passasse.
Dopo un’attesa di un’ora e mezza, la partenza si è svolta su una pista più umida che bagnata, e non da fermo: sono così sfilati tutti alla prima curva (La Source) e hanno imboccato l’Eau Rouge e Radillon senza troppi patemi, a parte Lando Norris, superato da Oscar Piastri con una manovra perfetta. La gara si è così sviluppata in maniera molto lineare, con i pochi sorpassi degni di nota effettuati da Lewis Hamilton, autore di una bella rimonta quando la pista era ancora scivolosa. La sua Ferrari, configurata per una gara bagnata, ha poi, però, visto plafonare il ritmo dietro ad Alex Albon, una volta che la pista si è asciugata. Da sottolineare la prestazione di Charles Leclerc, a podio e autore di un grande testa a testa con Verstappen.
La Ferrari è stata autrice di una prova molto convincente sul profilo strategico e di performance. Consolida così la seconda posizione nel campionato costruttori, staccando Mercedes e Red Bull. Avviandosi verso l’Hungaroring che, stando alle parole di Fred Vasseur, è più congeniale alla SF-25, si può sperare in un altro buon risultato per il Cavallino. Tuttavia, per citare Leclerc, “la Ferrari deve stare attenta con la positività e non creare aspettative sbagliate”. Insomma, un GP alla volta in questa stagione, con i pensieri già rivolti al 2026.
La strada della sicurezza in Formula 1 è passata attraverso molte tragedie. Infatti, sono tanti i piloti che sono deceduti alla guida di una monoposto, sia durante gare valide per il campionato che durante i test drive. Il primo decesso su una monoposto di Formula 1, anche se non in gara, avvenne nel 1952, quando il collaudatore britannico Cameron Earl perì a seguito di un incidente durante le prove di una monoposto nel Warwickshire. L’anno successivo, lo statunitense Chet Miller divenne il primo pilota a perdere la vita nel corso di un weekend di gara, ovvero durante le qualifiche della 500 Miglia di Indianapolis, che all’epoca faceva parte del calendario mondiale.
Negli anni successivi, altri nomi entrarono tragicamente nella memoria collettiva del motorsport. Tra questi, i più ricordati sono Gilles Villeneuve alla guida della Ferrari durante le qualifiche del Gran Premio del Belgio del 1982 sul circuito di Zolder e, ovviamente, Ayrton Senna, il pilota brasiliano tre volte campione del mondo, deceduto durante il Gran Premio di San Marino a Imola nel 1994 alla guida della Williams.
L’unico incidente mortale degli ultimi trent’anni è stato quello di Jules Bianchi al Gran Premio del Giappone del 2014. Jules era il mentore di Charles Leclerc, che in occasione del decimo anniversario ha scritto per ricordarlo: “I primi ricordi che ho di Jules non sono legati al Jules pilota, ma piuttosto il Jules persona, poiché l’ho vissuto molto più come un essere umano che come un pilota. [ ] Jules era una persona davvero gentile. Era molto divertente e aveva i suoi momenti folli quando lo conoscevi bene. Era sempre felice di aiutare e anche molto felice di divertirsi”.
Negli ultimi dieci anni, la Formula 1 non ha più registrato decessi legati a incidenti in pista. Tuttavia, non sono mancati episodi estremi che, in epoche precedenti, avrebbero avuto ben altri esiti. Emblematico è l’incidente con la Haas di Grosjean al Gran Premio del Bahrain del 2020, finita a muro subito dopo la partenza con un impatto così violento da spezzare in due la vettura e causare un incendio. Secondo il rapporto dell’incidente della FIA, il pilota è riuscito ad uscire dalla vettura dopo circa 28 secondi, subendo delle gravi lesioni alle mani ma salvandosi grazie al corretto funzionamento dei dispositivi di sicurezza.
Come si nota dalla tabella che segue, il numero di incidenti mortali alla guida di una monoposto di Formula 1 è gradualmente diminuito, da 13 decessi negli anni ’50 a zero negli ultimi dieci anni. Indice che le tragedie del passato insegnano e la Formula 1 si è mobilitata per introdurre misure che salvaguardassero la vita dei protagonisti del campionato.
Agli albori della Formula 1, la sicurezza rappresentava un aspetto marginale. Prevaleva una cultura del rischio, in cui il pericolo era considerato una parte inevitabile della competizione e i circuiti dell’epoca erano lontani dagli standard di sicurezza odierni. Negli anni ’50, ad esempio, le barriere protettive erano costituite da semplici balle di fieno, materiale scarsamente efficace nell’attutire gli impatti e altamente infiammabile. Una prova tragica della loro inadeguatezza si ha nel 1967 durante il Gran Premio di Monaco, quando Lorenzo Bandini, pilota della Ferrari, perde la vita in un incidente in cui la sua vettura prende fuoco dopo l’impatto contro le barriere di fieno.
Dal lato dell’abbigliamento dei piloti, le differenze rispetto a oggi sono altrettanto marcate. Negli anni ’50 i piloti indossavano semplici caschi e guanti in pelle, e abbigliamento privo di qualunque protezione ignifuga. Basti pensare alla tipica tenuta da gara del pilota argentino degli albori della Formula 1 Juan Manuel Fangio: Polo in cotone, giubbotto da lavoro e pantaloni. Le tute ignifughe non erano ancora previste, e le cinture di sicurezza non facevano parte dell’equipaggiamento standard, venendo introdotte solo su base volontaria verso la fine degli anni ’60. In pista, l’assenza di safety car e di personale addetto alla sicurezza era la norma. In caso di incidente, i piloti dovevano spesso contare solo sulla fortuna e sull’intervento di colleghi o spettatori, in un’epoca in cui ogni gara poteva trasformarsi in tragedia. Andiamo a vedere i cinque passi più importanti per la sicurezza.
1. Abbigliamento dei piloti
Dal 1963 la FIA introduce l’obbligo di indossare le tute antifuoco per porre fine al gran numero di casi in cui i piloti subivano ustioni in gara, concludendo l’era di abbigliamento casual dei piloti per correre in Formula 1. I piloti iniziarono così ad utilizzare le tute ignifughe in Nomex, materiale diventato conosciuto nel motorsport a seguito dell’incontro fra l’astronauta Pete Conrad e il pilota NASCAR Bill Simpson. Tuttavia, il grave incidente di Niki Lauda nel 1976, in cui il pilota riportò gravi ustioni, dimostrò che la nuova tuta non era ancora sufficiente a proteggere i piloti. Con il passare del tempo, l’evoluzione dei tessuti e il miglioramento della tecnica hanno portato a tute ignifughe più traspiranti e resistenti fino a 800 gradi, con un peso per tuta inferiore al chilogrammo. Da notare che i piloti sono obbligati ad indossare biancheria dello stesso materiale delle tute.
2. Monoscocca
Altro elemento fondamentale è la cellula di sopravvivenza in fibra di carbonio. La “monoscocca” è stata introdotta per la prima volta da McLaren nel 1981 con la MP4/1 guidata da John Watson e Andrea de Cesaris. Il pilota siede nella monoscocca composta da 6 mm di fibra di carbonio stratificata con Kevlar, una fibra sintetica resistente al calore, che diventa parte integrante del telaio dato che ad essa sono collegati il motore e la sospensione. Inoltre, è dotata di un sistema che consente al pilota di spruzzare schiuma ignifuga intorno all’abitacolo e al motore. Da sottolineare come la monoscocca fosse stata inventata per ragioni aerodinamiche.
3. Barriere di sicurezza
Dalle balle di fieno degli anni ’50 oggi la FIA utilizza sistemi avanzati per studiare quale tipo di barriera far applicare a che punto della pista in base alle diverse caratteristiche. Dalla fine degli anni ’60 vengono introdotte le barriere Armco, dispositivi in acciaio ondulato migliorati progressivamente nel corso degli anni. Oggi sono diversi i tipi di barriere utilizzate in Formula 1, ma principalmente le barriere TecPro e SAFER. Le TecPro sono costituite da blocchi in plastica riempiti con schiuma ad alta densità, capaci di assorbire e disperdere l’energia dell’impatto in modo molto più efficace rispetto a quelle metalliche. Le barriere SAFER (Steel and Foam Energy Reduction), inizialmente adottate nell’IndyCar, combinano acciaio e schiuma per ridurre l’impatto e distribuire meglio la forza della collisione, risultando particolarmente utili nei circuiti con curve ad alta velocità. Le barriere in pneumatici, invece, sono ancora usate in aree secondarie o in combinazione con altri sistemi di protezione; più compatte, ma meno efficaci delle TecPro, vengono impiegate soprattutto per contenere i costi in circuiti temporanei o in zone meno esposte a impatti gravi.
4. Dispositivo HANS
Il dispositivo HANS è un sistema per supportare la testa e il collo dei piloti. Fu ideato dai cognati Dr. Robert Hubbard, ingegnere biomeccanico, e Jim Downing, ex pilota americano IMSA, dopo essersi resi conto che molte morti nel motorsport erano causate da fratture della base del cranio, e che nessuno stava lavorando per prevenirle. La loro ricerca iniziò nel 1981 e quattordici anni dopo l’HANS entrò in Formula 1. Tuttavia, fu solo nel 2003 che la FIA lo rese obbligatorio.
Realizzato in fibra di carbonio, l’HANS si indossa come un collare che avvolge la parte posteriore del collo, con due bracci che poggiano sul petto. È fissato con le cinture di sicurezza e collegato al casco, in modo che, in caso di incidente, la testa non si sposti bruscamente in avanti, riducendo così il rischio di lesioni cervicali.
5. Halo
L’Halo, sistema basato sul progetto della scuderia Mercedes, è stato introdotto dalla FIA nel 2018 con la funzione di proteggere la testa dei piloti. Si tratta di una struttura ad anello in titanio montata sopra l’abitacolo, con un montante centrale davanti al pilota e due bracci che si estendono lungo i lati del cockpit, fissati al telaio della vettura. Il sistema può resistere a forze fino a 116kN, l’equivalente del peso di un autobus a due piani di Londra, come detto da James Allison della Mercedes. Tra le aziende che hanno omologato la produzione di Halo vi è l’italiana V System di Fiorano, parte del gruppo Veca, che realizza sistemi di scarico, collettori, parti strutturali e altri componenti di pregio per i settori automobilistico e aerospaziale. L’Halo in pochi anni si è già mostrato di vitale importanza.
L’ultima gara della stagione prima della pausa estiva si correrà a Mogyoród, alle porte di Budapest. Il Gran Premio di Ungheria si presta a sorprese, come la vittoria di Esteban Ocon nel 2021, alla guida di Alpine. Tuttavia, favorita d’obbligo resta la McLaren, già vincitrice di dodici edizioni sul circuito magiaro, tra cui quella dell’anno passato con Oscar Piastri. Il weekend ritorna in formato standard, con le qualifiche alle ore 16.00 del sabato e la gara domenicale alle 15.00. Seguiranno poi quattro settimane di pausa per consentire le chiusure estive delle fabbriche e i motori si riaccenderanno per il GP d’Olanda (29-31 Agosto).
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