Le parole che cambiano il mondo: "In pace o in guerra, sono la chiave"

Siamo quello che diciamo. Le parole che scegliamo di dire – o non dire – denotano la nostra visione del mondo. Lo spiega bene Cathy La Torre, avvocata, attivista, già consigliera comunale a Bologna, nel libro ‘Non si può più dire niente’ (Roi Edizioni). Smontando il paradosso di un’epoca in cui non siamo censurati, ma ci viene chiesto conto di ciò che diciamo.
Oggi alle 18 presenta il volume nella biblioteca Salaborsa di Bologna assieme a Jacques Charmelot, inviato dell’Agence France Press e autore di ‘La guerra è merda’ (Solferino, con prefazione di Lilli Gruber, giornalista e moglie di Charmelot). Per quarant’anni ha seguito i conflitti del mondo. Una volta in Ciad chiede a dei chirurghi militari da dove provenga la puzza che invade l’ospedale. Gli rispondono che "è la merda". Un luogo che dovrebbe essere un’oasi di speranza è stato costruito invece su una fossa settica, galleggia letteralmente su un mare di escrementi. Metafora, per l’autore, dell’irreparabile degradazione del corpo e dell’anima cui portano i conflitti. E "se non siamo in grado di fare la pace attraverso le parole – sottolinea il giornalista –, non saremo mai in grado di farla in un territorio di guerra".
C’è una relazione tra i due libri, all’apparenza così diversi?
Jacques Charmelot: "Le parole chiave del libro di Cathy sono ‘rispetto’ e ‘dialogo’. Ovvero i due ingredienti di cui abbiamo bisogno per evitare le guerre, per ritornare alla persuasione e alla diplomazia. Esiste un legame diretto tra le parole e la guerra".
Cathy La Torre: "Sposo completamente quello che ha detto Jacques e aggiungo che l’idea insolita di unire due autori diversi può abituare all’incontro anche pubblici diversi".
Quando avete maturato l’idea di scrivere questi libri?
Charmelot: "Ho seguito le guerre in Medio Oriente, in Africa, in Europa per quattro decenni. Quando ho sentito parlare di riarmare l’Europa, stanziando 800 miliardi per il ReArm, ho deciso di raccontare in maniera precisa, concreta, lucida la realtà dei conflitti. Che non è un gioco: la guerra è merda".
La Torre: "Negli ultimi due anni ci siamo fatti fregare dal discorso del politicamente corretto, della dittatura delle parole. Il ‘non si può più dire niente’ in Italia è diventato un alibi. Negli Stati Uniti dalla dittatura delle parole siamo passati a quella degli ordini esecutivi, come le deportazioni".
È vero che non si può più dire nulla?
La Torre: "Basta aprire i social per rendersi conto del contrario. Stamattina (ieri, ndr) leggevo che la Nasa ha dovuto spiegare a Kim Kardashian che l’uomo è veramente stato sulla Luna. Kardashian è seguita da 355 milioni di persone, teorizza le scie chimiche, racconta che non siamo mai stati sulla Luna e tra un po’ magari che la Terra è piatta".
Cosa rivela il linguaggio di Trump della sua visione sul mondo?
La Torre: "Che è un concentrato di intolleranze. Ricevere Giorgia Meloni, una presidente del Consiglio, e fare complimenti sul suo corpo è qualcosa di folle. Ha criticato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per come era vestito. Se le persone ascoltano l’uomo più potente sulla terra parlare così, si sentono legittimate a dire qualsiasi cosa".
Charmelot: "Trump usa le parole senza alcun pudore e pronuncia discorsi colmi di menzogne, non solo riguardo all’America, ma anche in materia di politica estera. Purtroppo non è una novità. E l’Europa continua a considerare amico un Paese che ha spesso mentito per giustificare le proprie guerre, dal Vietnam all’Iraq fino all’Afghanistan".
Dalle chat delle attiviste e influencer femministe Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene (indagate per stalking e diffamazione) sarebbero emersi insulti e liste nere. Le parole pubbliche pesano di più?
La Torre: "Per me vale il motto ‘vivi come le cose che dici’. Io sono in molte di quelle chat e mi sento offesa, ma quello che mi ha sconvolto di questa vicenda è leggere l’intento distruttivo nei confronti di tante persone: chiunque non la pensasse come loro".
Charmelot: "Vorrei aggiungere che la battaglia per il cosiddetto ‘femminismo’ è una battaglia per l’umanesimo. Se noi uomini non siamo in grado di riconoscere l’altra metà della società in termini di uguaglianza, rispetto, competenza, ruolo sociale, politico ed economico, stiamo rifiutando l’umanesimo, non solo il femminismo".
İl Resto Del Carlino




