Com’è nobile il rubare dell’artista. Un dialogo tra Pericoli e Calvino

Chi meglio di Italo Calvino sapeva cosa significasse discendere (o risalire) per li rami, ovvero riconoscere un’ascendenza, lui artefice di un barone rampante? Chi meglio di Tullio Pericoli, lui marchigiano di Colli del Tronto, può liberamente esibire il lasciapassare leopardiano: «Il rubare l’altrui non ripugna assolutamente alla natura»?
Ha il respiro di una chissà fino a qual punto involontaria lezione americana Furti ad arte (ora uscito dall’editore Henry Beyle), una conversazione ritrovata fra “lo scoiattolo della penna”, scomparso quarant’anni fa, e il filosofo con la matita, colui che «pensa per immagini», come lo stesso Calvino ha identificato Tullio Pericoli. Risale al 1980 questa illuministica promenade intorno al nobile esercizio che è “rubare”. Dall’arte (il blu di Klein speculare al nero di Soulages, per esempio) al giornalismo («L’intervista un articolo rubato», secondo Longanesi), alla letteratura (quando Borges osservava che gli uomini, nei secoli, hanno ripetuto sempre due storie: «quella di un vascello sperduto che cerca nei mari mediterranei un’isola amata, e quella di un dio che si fa crocifiggere sul Golgota»).
Tullio Pericoli
(fotogramma)Muove da una confessione, tale operetta morale: Rubare a Klee, il titolo della mostra milanese, presso la Galleria Il Milione, da cui nacque il colloquio. È un meditare sul linguaggio, Furti ad arte. Fra due intellettuali «alla ricerca delle forme possibili, che non ci sono nella realtà ma esistono in quanto possibili». Come dire l’indicibile, come forzare la sorte, sulla pagina e nell’atelier? Calvino e Pericoli all’unisono, se Calvino dedicherà all’amico le Cosmicomiche vecchie e nuove definendole «il più pericoliano dei miei libri». Nel segno di Qfwfq, «un occhio (o un ammicco) umano proiettato sulla realtà d’un mondo che pare sempre più refrattario alla parola e all’immagine».
È un ventaglio di affinità elettive, Furti ad arte. Così cardinale Robert Louis Stevenson nell’albero genealogico di Calvino (fra i suoi autori «genetici», di una «vena visionaria e spettacolare» omaggiata nella lezione sulla Visibilità). Così nel cuore di Tullio Pericoli, che disegnerà e ridisegnerà per Adelphi la casa ideale dello scrittore scozzese, ciascuna stanza uno spicchio di mondo favoloso, veleggiando verso un’infrangibile isola del tesoro.
Un’opera di Tullio Pericoli che, come quella qui sotto, illustra Furti ad arte, il dialogo ritrovato tra l’artista e lo scrittore Italo Calvino
Ognuno, montalianamente, riconosce i suoi (Montale che si lasciò accompagnare da Pericoli, su una vecchia 500, in via Bigli dal Corriere, Montale per Calvino «l’unico filosofo che io sia riuscito a seguire sistematicamente, in gioventù»). Montale che di fronte al frammentismo di Klee avverte: «Non intende affatto produrre frammenti, parti di un immaginario tutto: il suo scopo è di imprigionare un brivido che permetta a chi guarda o a chi legge di diventare per un attimo l’autore stesso».
Un’opera di Tullio Pericoli che, come quella qui sotto, illustra Furti ad arte, il dialogo ritrovato tra l’artista e lo scrittore Italo Calvino
Il furto d’autore che è la lettura stessa. Come conviene Calvino: «C’è questa cosa lì, chiusa, questo oggetto da cui si carpisce qualcosa che c’è chiuso dentro. C’è uno scassinamento, c’è un furto con scasso in ogni vera lettura. Naturalmente i quadri e le opere letterarie sono costruite apposta per essere derubate, in questo senso».
Il furto che è leggere, e che è tradurre, e che è copiare (Calvino che rammenta la storia borgesiana di Pierre Menard, autore di un libro uguale al Don Chisciotte eppure, essendo “suo”, con un significato diverso; Pericoli che rivà al concetto dell’imitazione, a teorizzarlo, nel Settecento, Joshua Reynolds).
Né Calvino né Pericoli lo nominano, ma dal loro dialogo pare affiorare il “tramando”, il “furto” secondo Francesco Arcangeli: «E non potrebbe essere, dunque, se non tramando per trasmissione, ma ad un tempo anche per trasformazione. I significati dell’opera si fanno “inesausti” entro la vita della storia, che, per la mia generazione, non è mai stata la storia con la esse maiuscola dello storicismo, ma umana, travagliata coscienza del tempo che passa».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
repubblica




