C’è aria nuova con la Trilogia

4 nov 2025
Giudici era una volta la cara provincia sedentaria e refrattaria alle iniziative che arieggino il cortile di casa: e c’è ancora, purtroppo. Ma capita che una sovrintendentessa (si può dir così?) come Cristina Ferrari, con idee e grinta per realizzarle, vada a guidare il Municipale di Piacenza: e aria nuova ne circola a valanga. Ha organizzato nientemeno che la cosiddetta (detta male, ma vabbè) Trilogia Popolare di Verdi, Rigoletto-Trovatore-Traviata, titolo dopo l’altro a distanza di due giorni: edizioni critiche, stessi direttore e regista, quasi stesso cast, lodevolissimo intento di guardarli da un’ottica moderna che ne esalti sia le singole drammaturgie musicali così personali, sia i tratti a loro comuni. Se infelice s’è mostrata la scelta del coro, troppo amatoriale, felice il gemellaggio milanese con l’Orchestra Sinfonica di Milano che, in continua crescita, affronta per la prima volta l’opera lirica con buoni risultati in virtù della bacchetta di Francesco Lanzillotta: piazza pulita dalle incrostazioni becerualde di tradizione, sostituite da narrazione agile, fluida, con tavolozze cromatiche di fascinosa e teatrale morbidezza.
La regia di Roberto Catalano unisce le tre drammaturgie sotto il tratto della maledizione d’un padre verso un altro padre che ne deride il dolore per la figlia stuprata: riassunto nel nero pece che dalla mano di Rigoletto cola sulla bianca parete di fondo come grumi malefici, mentre un’inquietante figura calva e nerovestita s’aggira sulla scena vuota: semplice, chiaro, risparmioso, efficace. Nel cast, molte luci e appena un velo d’ombra: il che, dato l’arduo compito, incorona d’alloro l’operazione. Luca Salsi è il baritono migliore che il teatro di Verdi possa sperare: e sottolineo teatro, giacché il lavoro sulla parola scenica, la profusione di colori, chiaroscuri, sfumature, danno dimostrazione del perché Verdi sia l’equivalente musicale di Shakespeare. Francesco Meli ha timbro tra i più belli e fraseggio tra i più rifiniti; Teresa Romano ha plasmato un’Azucena memorabile per dovizia timbrica e finezza d’accento. Maria Novella Malfatti ha 26 anni, violinista e tecnicamente a posto: stupisce certo suo diffuso sbandamento musicale, soccorso dalla direzione che è riuscita a valorizzare le qualità d’interprete. Ernesto Petti ha il timbro baritonale più bello, ma il piacere d’ascoltarlo è guastato da problemi nel gestire il settore acuto. Molto bene il reperto dei ruoli di fianco: e s’è avuto appuntamento tra i più stimolanti dell’attuale teatro musicale.
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