Iniziano a Ginevra i negoziati Cina-America, ma Trump si è già mostrato troppo debole


Foto ANSA
il tavolo
Da un lato il segretario al Tesoro statunitense, dal'altro il vice primo ministro He Lifeng, vecchio amico di Xi Jinping: due negoziatori di peso e un match appena cominciato, ma i passi indietro del presidente americano offrono il fianco all’avversario
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Con la Gran Bretagna è andata tutto sommato meglio del previsto, ma il circo dei dazi entra nel vivo da oggi. Si incontrano a Ginevra due negoziatori di peso, una colomba sia pur con artigli acuminati, e uno sparviero. Da un lato Scott Bessent, il segretario al Tesoro che sta spingendo Donald Trump a più miti consigli, vecchio navigatore della finanza, ha avuto buon gioco a mostrare al presidente il disastro provocato a Wall Street dai suoi primi cento giorni alla Casa Bianca.
Vedremo se il Commander in chief gli darà davvero retta. All’altro capo del tavolo c’è il viceprimo ministro He Lifeng, vecchio amico di Xi Jinping fin quando da giovani erano insieme nella provincia di Fujian; archetipo del tecnocrate cinese, non parla inglese, ma ha dalla sua il legame stretto con “l’ultimo imperatore” e questo potrebbe dargli un vantaggio. Sarà senza dubbio un osso duro e si presenta con un asso nella manica: le esportazioni calcolate in dollari ad aprile sono aumentate dell’8,1 per cento; le vendite in Indonesia, Thailandia, Vietnam, in Europa e in Africa hanno più che compensato il crollo sul mercato americano (-21 per cento). Il “Liberation day” del 2 aprile, con le tariffe del 145 per cento sui prodotti cinesi alle quali Pechino ha risposto con il 125 per cento, ha avuto il suo effetto sull’America, ma per il momento non ha colpito la Cina. Il match è appena cominciato, siamo alle scazzottate iniziali.
Donald Trump non ha mancato di farsi sentire con un post su Truth: “Tariffe dell’80 per cento sembrano giuste. Tocca a te Scott”. Dunque Bessent parte con un obiettivo prefissato ben inferiore a quello originario. I primi segnali da Wall Street sono positivi e gli indici sono in leggera in salita. Secondo il Wall Street Journal “Trump mette in scena la ritirata nella guerra dei dazi” e questo è un bene. Difficile capire se si tratta di una mossa tattica o strategica: il presidente vuole che la Cina si apra alle merci americane e nello stesso tempo intima ai grandi gruppi di tornare in patria pena severe punizioni, poi concede eccezioni alla Apple e ad altre imprese. Soffre anche la Tesla e Elon Musk chiede una marcia indietro. Gli investimenti esteri, americani in particolare, sono fondamentali per l’economia cinese che attraversa una fase di difficoltà. La crescita che ufficialmente è confermata al 5 per cento annuo, secondo la maggior parte degli osservatori indipendenti è molto più bassa. La Banca centrale cinese ha annunciato una riduzione dei tassi d’interesse all’1,4 per cento e il governo ha permesso alle banche di aumentare la liquidità. La domanda interna ristagna e i prezzi scendono. L’indebitamento complessivo sfiora ormai il 300 per cento del pil, ma molti dati ufficiali non vengono più pubblicati con regolarità.
“Attenzione a non sottovalutare la Cina, anche se la sua crescita rallenta, resta strategicamente formidabile”, avverte Kurt Campbell, stagionato diplomatico fondatore dell’Asia Group, già consigliere di Joe Biden per l’Indo-Pacifico. Nelle trattative con gli Stati Uniti Pechino ha un grande vantaggio: il predominio sulle terre rare dove “ha vinto la battaglia”, secondo il Wall Street Journal. Inoltre l’intreccio industriale è tale che rompere il nodo diventa impossibile a meno di provocare danni irreparabili sia in Cina sia negli Stati Uniti. Danni che avrebbero evidenti conseguenze politiche. Secondo molti analisti, l’accordo con il Regno Unito può contribuire a ridurre la catena produttiva che lega alla Cina soprattutto alcuni settori strategici. I passi indietro di Trump, però, offrono il fianco all’avversario. Xi ne ha approfittato per incontrare e corteggiare le imprese americane. He Lifeng resterà in Svizzera fino a lunedì, poi sarà a Parigi fino a venerdì. Continua insomma la ricerca di sbocchi alternativi e legami industriali a tutto campo, anche in Europa. Ma il primo fronte resta pur sempre quello americano.
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