Lot-et-Garonne: sotto l'Ancien Régime, forni e mulini erano un'importante fonte di reddito

Erano essenziali per l'alimentazione, al punto da essere presi di mira in tempo di guerra
Con le sue numerose colline e la sua altrettanto ricca rete idraulica, il Lot-et-Garonne è in gran parte ricco di vestigia, più o meno in buone condizioni, di questi pittoreschi edifici utilitaristici di un'altra epoca: quasi 500 mulini a vento, quasi un migliaio di mulini ad acqua, ma anche, meno visibili, i forni. Erano soprattutto strumenti essenziali per fornire alla specie umana il suo alimento base: il pane. Senza di essi, non ci sarebbe vita.
In tempo di guerra, i soldati non mancavano di attaccare i mulini, alcuni dei quali, come quello di Barbaste, ricordavano comprensibilmente delle fortezze. Mentre lo Stato imponeva (tra le altre cose) le sue tasse sul sale, nobili e borghesi si riservavano il diritto di tassare forni e mulini per assicurarsi redditi dignitosi. Una visita ad antichi castelli fortificati, in particolare quello di Biron nel Lot, ci rivela il "forno comunale", ovvero il fatto che il signore del luogo si riservasse il monopolio della cottura del pane. Il forno era messo a disposizione del plebeo, ma a condizione che ne pagasse l'uso.
Gli inizi dell'industriaPrima della cottura, il grano doveva essere macinato. Il principio è semplice: già nella preistoria, i nostri lontani antenati avevano inventato la tecnica di schiacciarlo tra due pietre. Questa tecnica fu perfezionata con macine rotanti, azionate dal vento o dall'acqua. La differenza è che il vento non soffia sempre, mentre il flusso di fiumi e torrenti continua il suo corso, anche con una portata ridotta in caso di siccità. Era comunque necessario disporre di una struttura adeguata, costruita parzialmente nell'acqua.
Per i corsi d'acqua era ancora facile, ma quando si trattava della Garonna, del Lot o della Baïse, era tutta un'altra storia. Solo chi possedeva già una certa ricchezza poteva imbarcarsi in un simile investimento. Ma era particolarmente redditizio, e molte famiglie borghesi o aristocratiche, a volte comunità religiose, lo consideravano un investimento molto redditizio.
Investitori audaciLo studio sui mulini del Lot-et-Garonne pubblicato nel 2003 da Philippe Issandou e Jean Cubelier de Beynac (1) ci fornisce qualche esempio di questi saggi signori, persino di questi priori abbaziali, imprenditori ante litteram, che raccolsero la sfida: la diga di Saint-Vite, vicino a Fumel, risale al 1283; l'abbazia di Eysses costruì il mulino di Gajac ancor prima della fondazione della bastide di Villeneuve; a partire dall'XI secolo, i monaci di Moirax costruirono due mulini; nel 1288, i signori di Castelmoron si allearono con i Templari per dividere i redditi del mulino del Tempio; quello di Buzet-sur Baïse, che risale a un'epoca molto antica, apparteneva al marchese di Flamarens.
Il suo destino industriale non terminò con l'invenzione del vapore, poiché all'indomani della prima guerra mondiale venne trasformata in una fabbrica di matite da una società franco-belga, la Franbel, la cui attività, fino alla fine degli anni '50, impiegò fino a 350 persone, per una produzione venduta in tutta la Francia.
I mulini di AiguillonForse perché situati alla confluenza dei fiumi Lot e Garonna, i due mulini di Aiguillon ricoprivano un'importanza fondamentale. I documenti ne attestano l'esistenza già nel XIII secolo. Furono ricostruiti nel 1603 da Madame de Monpezat, con 4.000 giorni di lavoro. Fu il Duca di Aiguillon (1720-1788) a conferire loro le imponenti dimensioni che ancora oggi conservano.
Ministro di Luigi XV, Emmanuel-Armand de Vignerot era stato in precedenza governatore della Bretagna, dove si era dimostrato un costruttore ineguagliabile, realizzando strade, urbanizzando città malsane e sviluppando porti. Ad Aiguillon, non si limitò a costruire il castello o a ristrutturare l'antica città medievale: si dedicò anche all'ampliamento e alla modernizzazione dei suoi mulini sul Lot. Bisogna dire che gli fruttavano la bella somma di 36.000 lire all'anno, l'equivalente di circa un milione di euro.
Forni per il pane, mulini a vento, mulini ad acqua, guardiamo con tenerezza alle loro vestigia in movimento, perché nulla rimane, ahimè, dei mulini a mano, queste vere e proprie fortezze galleggianti, dotate di ruote a pale, meno costose delle costruzioni solide, ma altrettanto efficaci sia per macinare che per riscuotere le tasse. Quello della famiglia Agen di Sevin, nel XVI secolo, durante le guerre di religione, servì al maresciallo Monluc come strumento di combattimento: ne tagliò gli ormeggi affinché la nave alla deriva potesse dirigersi a Port-Sainte-Marie per demolire il ponte di barche che il protestante Coligny aveva appena costruito.
(1) “Acqua e mulini a vento del Lot-et-Garonne”, edizioni Fanlac, 2003.
SudOuest