Patto nazionale per la lingua

Data la situazione critica della lingua catalana, da tempo si parla della necessità di concordare un patto nazionale. Quando la situazione peggiora, sono necessarie urgentemente misure straordinarie. E tutti gli indicatori confermano la regressione in tutti gli ambiti della lingua di Andrea Gumes, nonostante i tentativi del Dipartimento di politica linguistica di nascondere i risultati negativi dell'ultima indagine sull'uso della lingua.
È chiaro che le lingue maggioritarie non hanno bisogno di questi accordi, ma nel caso del catalano la situazione è diversa. Con 10 milioni di parlanti, è una lingua di medie dimensioni, non una lingua minoritaria, ma una lingua politicamente minoritaria. E in un mondo sempre più globalizzato, in cui l'avanzata dell'inglese sta addirittura soverchiando quella dello spagnolo, un patto nazionale era essenziale.
Per eccesso o per difetto è stato approvato un patto che ha il sostegno di soli 68 deputatiCon un gruppo di linguisti e su iniziativa di Rudolf Ortega, lo rivendichiamo nel 2021 nel libro Molt a favor, che ha come sottotitolo “57 proposte e un patto per la llengua” (Eumo Editorial). È curioso che, all'epoca, con l'ERC nella Generalitat, il dibattito che avevamo vertesse sulla necessità di integrare il PSC nel patto. Ci sembrava ovvio che Esquerra, Junts, CUP e Comuns avrebbero partecipato. Ma affinché un patto nazionale fosse effettivamente tale, nazionale, avrebbe dovuto raggiungere i due terzi del Parlamento, e questo poteva essere raggiunto solo aggiungendo il PSC. "Alcune richieste andrebbero attenuate", concordavamo nelle nostre riflessioni.
E così è stato. La Generalitat, che ora fa parte dei partiti ERC e Socialista, ha elaborato un patto poco ambizioso, che ha provocato disaccordi tra Junts e CUP. Per eccesso o per difetto, è stato approvato un patto che ha ottenuto il sostegno solo della metà dei deputati del Parlamento: 68 seggi. Si tratta quindi di un patto semi-nazionale. Nasce zoppo e, per quanto i firmatari promettano di ampliarlo, sappiamo che queste cose, una volta finalizzate, sono molto difficili da cambiare. È la politica del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. In momenti critici come quello attuale, era importante unire tutte le voci possibili e farlo con soluzioni coraggiose. E non è stato così.
Cercare di portare il numero dei parlanti a 600.000 è una sfida importante e, se ci si riesce, sarà risolutiva. Ma finché il mancato rispetto delle leggi vigenti continuerà a restare impunito, ovvero finché si potrà operare in Catalogna senza conoscere il catalano e finché si potrà lavorare con il pubblico in qualsiasi ambito, soprattutto nel settore pubblico, senza usare il catalano, questi saranno servizi minimi che dovranno essere sempre garantiti. Trovo difficile ampliare qualsiasi cosa, ma come minimo, quanto firmato dovrebbe essere rispettato.
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